sabato, marzo 23, 2024

23 marzo 2002: Noi, tre milioni a difesa dell’art. 18 contro i licenziamenti facili

Roma, 23 marzo 2002, manifestazione della Cgil per la difesa dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori, che impediva i licenziamenti facili. Io c’ero, insieme ad altri 50 corleonesi partiti in pulman, Corleone-Palermo e ritorno e non sentire stanchezza! Insieme a noi 3 milioni di lavoratrici, lavoratori, giovani… (dp)


di ILARIA ROMEO

Quel 23 marzo 2002 il Circo Massimo si è colorato di rosso. Le bandiere della Cgil e uno slogan "Tu sì, tu no. Io non ci sto". Il sindacato, guidato da Sergio Cofferati, dimostra tutta la sua forza e respinge l'attacco all'articolo 18

Dalla primavera del 2001 la crisi delle relazioni industriali è facilitata dall’involuzione politica dovuta alla nuova affermazione del centrodestra di Silvio Berlusconi. Nel 2002 giunge a compimento l’offensiva di governo e Confindustria contro l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che stabilisce il diritto al reintegro sul posto di lavoro in caso di licenziamento senza giusta causa.

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Dopo il quindicesimo Congresso di Rimini tenutosi a febbraio, il 23 marzo la Cgil organizza la più grande manifestazione della storia italiana, con tre milioni di partecipanti al Circo Massimo di Roma contro il terrorismo - il 19 marzo le Nuove Brigate Rosse hanno assassinato Marco Biagi - e per i diritti. Secondo la questura a Roma quel giorno ci sono 700.000 persone.

“Quando potranno vedere le nostre fotografie dagli elicotteri allora saremo pronti a fare congiuntamente le stime. Così vedremo chi ha le valutazioni più giuste e chi il metro corto. In piazza c’erano almeno tre milioni di persone, mai viste così tante dal dopoguerra a oggi” è la risposta della Cgil che scrive sul proprio sito internet: ‘Tu no, noi tre milioni’.



In piazza ci sono tutte le organizzazioni territoriali e di categoria della Cgil, dai chimici ai metalmeccanici, dagli edili alla funzione pubblica, i professori delle università, i ricercatori precari, i medici, gli infermieri, i lavoratori dei trasporti e del commercio. Ci sono i pensionati dello Spi e tantissimi giovani, padri, madri, nonni e figli, una miscela inaspettata che fa ripensare ogni schema politico.

“C’è il silenzio - scriverà Repubblica -  Toccante come solo quello di un mare infinito di gente può essere. È l’omaggio della piazza a Marco Biagi. C’è la poesia, nelle parole di un anonimo poeta indiano, dedicate da Tonino Guerra alla manifestazione: ‘Il corpo del povero cadrebbe in pezzi se non fosse legato ben stretto dal filo dei sogni’. E c’è Sergio Cofferati, che sale su questo sobrio palco romano tra gli applausi e le bandiere al vento”.

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“Non si può pensare di dare ai giovani dei diritti universali - dirà evidentemente commosso il segretario generale della Cgil - e nel contempo accettare l’idea di toglierli ai padri”.

“Donne uomini che siete qui, compagne e compagni, la vostra presenza oggi è la risposta più efficace alla follia del terrorismo, è la risposta più forte in difesa alla democrazia e delle sue regole”. Con queste parole comincia il suo atteso discorso davanti alla sterminata platea del Circo Massimo. Una platea, un corteo, una manifestazione che passeranno alla storia.

“Una storia così presente nella memoria, nella cultura, negli occhi di tutti da non avere bisogno, oggi, di nessuna parola da parte mia. È una storia che nessuno può ignorare o negare”.

Con la Cgil quel giorno ci sono politici, intellettuali, attori, registi, uomini e donne del mondo della cultura e dello spettacolo. Ci sono Bertinotti, Fassino, D’Alema, Di Pietro, Salvi, Turco, Pecoraro Scanio, Rosy Bindi con l’adesivo dei girotondisti. Spunta Nanni Moretti. Ci sono Sabrina Ferilli, Massimo Ghini, Ottavia Piccolo, Lucrezia Lante della Rovere, Nicola Piovani, Paolo Hendel, Staino e Vauro.

“Non ci piace una scuola che diventi fabbrica di piccoli ingranaggi della macchina del lavoro; non ci piace una fabbrica che diventi luogo dell’umiliazione per l’impiegata che respinge le avances del capo o per l’operaio che chiede sicurezza (siamo il Paese dei 1.400 morti sul lavoro all’anno); non ci piace che un lavoratore, una lavoratrice siano venduti come merci al mercato; non ci piace che un giovane per avere un posto di lavoro debba rinunciare alla pensione. Questi sono gli effetti delle deleghe chieste dal governo sulla scuola, sul mercato del lavoro, sull’articolo 18, sulla previdenza. Per questo noi saremo con la Cgil il 23 marzo insieme con i lavoratori che vogliono dignità, i professori che vogliono conoscenza e cultura, i giovani che vogliono un mondo di pace”, diranno Franca Rame e Dario Fo.

“Eppure qualcosa si muove nel paese - scriveva Bruno Trentin sul suo diario - Forse una svolta nella ribellione di una società civile contro l’estraneità della politica. Sabato 23 marzo la manifestazione voluta dalla sola Cgil (…) è stata davvero un momento di svolta (…) Un tappo è saltato e questo non potrà non influire sul destino prossimo della sinistra”.

“Nel 1966 - affermava ancora Cofferati nel suo intervento - esattamente il 27 aprile, il compagno Ugo Spagnoli pronunciava il suo discorso nel dibattito parlamentare a conclusione di una lunghissima, difficile, delicata discussione che portò all’introduzione nell’ordinamento legislativo italiano del vincolo alla giusta causa nei licenziamenti. Concludeva così il suo intervento il compagno Spagnoli: ‘Tutto ciò che ci si chiede nel momento in cui facciamo questa legge, tutto ciò che si è chiesto a noi per tanti anni senza avere alcuna risposta, è la tutela di quella dignità umana che la dottrina cattolica considera principio e fondamento ontologico di ogni valore umano, la più alta prerogativa di ogni persona umana, e che per noi è il fondamento di una concezione dell’uomo che vogliamo ricondurre a se stesso, liberandolo da ogni alienazione e da ogni sfruttamento’. Io non trovo parole migliori per dire oggi, a distanza di oltre 35 anni, delle nostre ragioni per difendere quella dignità, quella che passa dall’affermazione dei diritti del cittadino nei luoghi di lavoro, quella che supera la rottura di ogni divario tra lo stato di cittadino e quello di lavoratore. La rivendicazione di un diritto che è sancito dalla nostra Costituzione. Noi ci batteremo perché si estendano questi diritti fondamentali dai padri verso i figli. Il nostro obiettivo in questa lotta è quello di sempre, quello che un sindacato ha storicamente davanti a sé: il nostro obiettivo è un accordo che sia positivo per le persone che rappresentiamo. Con questo spirito noi ci presentiamo sempre alle trattative, agli incontri, ai confronti negoziali. Con lo stesso spirito, quando non ci sono le condizioni e si interrompe una trattativa, rispondiamo con la lotta. Perché è in questa dinamica la sostanza della funzione più alta del sindacalismo confederale italiano.

Un sindacalismo che si fa carico dei problemi di molti, li rappresenta, li media con i suoi strumenti. Un sindacalismo che per questa ragione non ha paura dell’accordo come non ha mai avuto paura della trattativa”.

“Ai tanti che sono qui - proseguiva il segretario - diversi da noi, agli intellettuali, dico: ‘Non vi preoccupate se vi aggrediscono. Rispondete con fermezza, come avete fatto’. Ai tanti giovani, alle ragazze e ai ragazzi dei movimenti della pace, a coloro che vogliono regole nella globalizzazione, a quelli che hanno a cuore, come tanti altri, le tematiche ambientali, dico: ‘Continuate a rappresentare le vostre idee e le vostre istanze. Non fatevi intimidire. Dalla Cgil avrete sempre attenzione e rispetto. Non fatevi affascinare dall’idea di rappresentarvi autonomamente in politica. Stimolate i partiti, costringeteli a guardare a voi, alle vostre istanze’. (…) Nei nostri sogni c’è un paese moderno e civile, con una democrazia forte e una società più giusta. Con il vostro coraggio, con la vostra passione civile, quella che ci dà forza, sono sicuro che li realizzeremo”.

Diciannove anni sono passati, abbiamo contrastato il Jobs act, abbiamo risposto con la Carta universale dei diritti, abbiamo vinto, abbiamo perso, ma non abbiamo mai smesso di lottare. Con la consapevolezza di servire una causa grande, una causa giusta. Perché lavorare per la Cgil e nella Cgil non è non può essere un mestiere come un altro. Perché questa causa val bene un impegno, val bene un rischio, val bene una vita.

Collettiva.it, 23 marzo 2021 •

Aggiornato il 16 ottobre 2023 

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