Il ritratto di Navalny, grande oppositore di Putin morto in carcere, di chi lo conobbe e lo incontrò
di NICOLA LOMBARDOZZI
C'era una luce negli occhi di Aleksej Navalnyj che Vladimir Putin avrebbe voluto spegnere già quindici anni fa. I giovani delle grandi città, quelli della media borghesia appena nata dalle ceneri del comunismo, istruiti, poliglotti e straordinari viaggiatori del web, avevano infatti trovato un leader naturale, uno che dava una linea, una strategia, alla loro insofferenza nei confronti del regime e del suo capo.
Fino ad allora, il Presidente aveva potuto guardarli con condiscendenza come si fa con gli adolescenti nella loro prevedibile fase ribelle. Li chiamava “criceti del computer” oppure “ragazzi del Jean Jacques” riferendosi alla catena di lussuosi ed esclusivi bistrot alla francese frequentati da molti di loro. Minimizzava come un padre bonario le manifestazioni di piazza, precisando di avere cose ben più serie di cui occuparsi piuttosto che delle marachelle di qualche scapestrato. Perfino gli Omon, i poliziotti delle squadre speciali più cattive e manesche, avevano ordine di restare calmi, gentili e sorridenti durante le manifestazioni.
Ma con Navalnyj le cose erano diverse. Me ne accorsi il giorno di Natale (cattolico) del 2010 ad uno dei tanti raduni di protesta, allora ampiamente tollerati, lungo il parco di Chiste Prudy nel cuore di Mosca. Su un grande schermo montato per l'occasione, fu proiettato un primo piano degli occhi di Navalnyj che era solo uno dei tanti oratori previsti. Bastò per far tacere una folla di ameno diecimila giovani. Forse per un'intenzione precisa, forse per un guasto, l'inquadratura di quello sguardo rimase fissa per almeno dieci minuti. E per tutto quel tempo dalla folla di contestatori urlanti arrivò solo qualche brusio. Fu un'esperienza che non dimenticherò mai, forse il ricordo più grande di un uomo che ebbi poi modo di frequentare, di ammirare e qualche volta anche di contestare. Una rappresentazione plastica di che cosa sia il carisma. La dote che fa più paura al Potere e che ha fatto di Navalnyj uno degli uomini più odiati e più temuti dal Cremlino.
Avevo conosciuto Navalnyi qualche mese prima nel suo ufficio di Ostozhenka quartiere residenziale della capitale. Cominciava infatti a diventare famoso per il suo blog che nel giro dei tanti frequentatori del web era definito “anticorruzione”. Avvocato, con una buona conoscenza dei reati finanziari aveva cooptato giovani colleghi con il compito di ricostruire frodi, abusi d'ufficio, giri di tangenti che vedevano protagonisti funzionari pubblici, politici, dirigenti statali e locali. Facilissimo pescare episodi di corruzione in uno dei paesi più corrotti del mondo. Più difficile ricostruirne il percorso e i dettagli. Navalnyj e la sua squadra di avvocati lavorava e pubblicava i risultati con una certa enfasi. Sulla loro homepage campeggiava un contatore con il numero di milioni di rubli “rubati dal potere”. Ma la cosa che rendeva preoccupante il lavoro di un blog di sconosciuti era che tutto veniva mantenuto con i finanziamenti spontanei che arrivavano da milioni di utenti e da ogni parte della Russia da Vladivostok a San Pietroburgo. “I soldi sono per la gente la cosa più importante, con la sicurezza che lo contraddistingueva. Per questo, sentirsi derubati scatena la rabbia del popolo come nessun'altra cosa”. I fatti gli diedero ragione. Gli altri contestatori avevano ognuno una nobile causa differente. Una, Evgenja Chirikova, si batteva per salvare la foresta di Khimki dalla speculazione edilizia; altri combattevano per evitare che le auto governative sfrecciassero a folle velocità per le vie del centro, e poi c'era chi difendeva i diritti dei bambini, dei carcerati, dei monumenti. Ma nei cortei di protesta lo slogan era “Putin dvor” Putin ladro.
“E vedrai – mi diceva – che più la gente soffrirà per la crisi economica, più la rabbia esploderà e farà crollare il regime”. Un ottimismo che negli anni si affievolì. La cosiddetta democratura degli anni Dieci, che fingeva una tolleranza di facciata si trasformava sempre più in un regime spietato e sanguinario. Lo era anche prima ma ci teneva a salvare le forme. Ho assistito ai tre processi nella cittadina di Kirov intentati a Navalnyj nel giro di un anno con accuse letteralmente ridicole. Assolto due volte. Poi condannato e subito scarcerato dopo una manifestazione clamorosa sulla piazza del Maneggio davanti alla piazza Rossa. Lo lasciarono perfino correre per le lezioni di sindaco di Mosca, ottenendo una massa di voti che non fecero molto piacere al Cremlino.
Altri tempi. Putin, avendo perso interesse a salvare le forme rispetto all'Occidente ha buttato giù la maschera. Piano piano, l'uomo dallo sguardo pericoloso è stato distrutto moralmente e fisicamente. La forza con cui affrontava gli arresti, l'ironia che esprimeva ai processi si è andata spegnendo in un carcere della Siberia profonda dove veniva alimentato con due tazze d'acqua calda e una fetta di pane al giorno. E fuori, a protestare non rimaneva più nessuno. Tutti, arrestati, o fuggiti all'estero, o troppo spaventati per accennare qualche reazione significativa. Parlando al telefono con un amico comune, un tempo volontario pro Navalnj, sentivo più dolore e rassegnazione che rabbia: “Spero abbiano almeno l'umanità di fare i funerali a Mosca. Protestare? Forse, Ma non aspettatevi grandi cose. Stanno già arrestando ogni potenziale contestatore andandolo a prendere a casa”.
L’Ora, edizione straordinaria, 16/2/2024
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