mercoledì, febbraio 07, 2024

L’INTERVISTA. Dacia Maraini: “Stupro a Catania? Il sesso sui social si basa sulle prede”

Dacia Maraini

di Eleonora Lombardo

Viviamo in un mondo in cui l’educazione dei più giovani è lasciata ai social, manca la condivisione dei valori e la politica esprime confusione: in questo clima di dispersione Dacia Maraini torna a far sentire la sua voce con un libro che racconta gli anni nel campo di prigionia in Giappone: si intitola “Vita mia” ed è edito da Rizzoli. 

Un racconto che recupera lo sguardo di una bambina di sei anni di fronte alle atrocità, e con limpidezza trasmette la capacità di restare umani anche in mezzo all’orrore. Maraini è in Sicilia per presentare il libro nelle scuole e domani incontrerà i lettori a Palermo, alle 18,30, ai Cantieri culturali della Zisa: «Questa storia in realtà l’ho iniziata molti anni fa, cominciavo e la lasciavo perché mi procurava dolore riaprire vecchie ferite. - dice - Ma adesso che siamo in un’atmosfera di pericolo di guerra mondiale, ho pensato che fosse arrivato il momento di scriverla. Si tratta di una testimonianza che spero possa aiutare meglio a capire». 
Partiamo da un fatto di cronaca. 


Ancora una volta in Sicilia la notizia di uno stupro, vittima e carnefici giovanissimi. Cosa sta succedendo? 
«C’è una risposta alla maggiore volontà di libertà e autonomia delle donne che per alcuni uomini non ètollerabile. C’è una voglia di castigo. È un fatto che riguarda tutto il mondo, femminicidi e violenze contro le donne sono in crescita dappertutto. 
Non c’è un caso Sicilia. Ma è un allarmante dato che questi fatti riguardino giovanissimi. Temo sia da collegare al cattivo uso degli strumenti tecnologici e dei social che insegnano il sesso attraverso la pornografia. Sempre più spesso, lo vedo incontrandone tanti nelle scuole, i ragazzi che si nutrono di social sviluppano un’idea che il sesso sia un fatto di predatori e preda. 
Pubblicità, influencer danno un’idea della sessualità che non ha niente a che vedere con il rispetto, con l’amore, con la tenerezza, la conoscenza. I più esposti a questo sono i giovani che spesso se la prendono con i coetanei, come nel caso di Catania, in cui la ragazzina è una preda. Non una persona. Per carità, non bisogna ora strumentalizzare il fatto che si trattasse di ragazzi di origine egiziana, è la giovanissima età che deve indignarci. È orribile, mi fa rabbrividire, spero nel carcere anche se non credo che soprattutto le nostre carceri siano la soluzione. 
Bisogna agire nella scuola, dando un’educazione ai rapporti fin dallagiovanissima età. Bisogna insegnare il rispetto degli altri, educare ai rapporti erotici, sentimentali e civili. 
E poi agirei sulla televisione, la pubblicità e il linguaggio che è ancora fatta sul corpo delle donne. È un lavoro culturale molto profondo quello da fare». 
Nel libro lei racconta dei suoi genitori, che esempio sono stati che educazione le hanno dato? «Sono stati un esempio di fedeltà alle idee. 
C’erano tremila italiani in Giappone nel 1943, solo una ventina hanno rifiutato di firmare l’adesione alla Repubblica di Salò. E tra questi noi bambine che naturalmente non eravamo responsabili. I miei genitori sono stati molto coraggiosi. Sapevano benissimo che se non firmavano, sarebbero finiti nel campo di concentramento come traditori della patria. Mi hanno dato un esempio di idealismo e di lealtàmolto importante. Rispetto alla vita nel campo cercavano di creare un modo di resistere ai dolori, alla fame, alle malattie sempre con spirito positivo. E poi loro sono diventati la nostra scuola e i nostri libri. Sono stati “ persone libro”, come in “ Fahrenheit 451” di Bradbury, mia madre mi raccontava le favole, mi insegnava l’italiano perché io parlavo giapponese, mio padre la matematica». 
Quanto è importante che gli intellettuali si esprimano nella vita socio-politica di un Paese e in che misura accade oggi in Italia? 
«Per me è molto importante che, non solo gli intellettuali, ma tutti i cittadini difendano la libertà, la democrazia, le idee. Gli intellettuali di più perché hanno una voce che viene ascoltata, c’è la responsabilità della risonanza delle loro parole e per questo devono stare attenti a quello che dicono. Oggi c’è una maggiore frammentazione delle idee, è molto più difficile per uno scrittore parlare di valori condivisi alle masse. Manca la coesione per condividere una resistenza, ognuno fa per contro suo. 
Manca il senso della comunità che c’era fino agli anni Ottanta. C’è confusione, anche in politica, non si esprimono con chiarezza né la destra né la sinistra». 
Dopo la detenzione in Giappone per lei c’è stata la Sicilia, Bagheria: come racconterebbe il cambio di scenario? 
«Ho avuto la fortuna di conoscere la Sicilia prima della rapina del territorio e chi non ha vissuto quell’epoca non può immaginare che cosa sia stata la bellezza assoluta di questa isola. Bagheria era circondata da limoni e aranci, io andavo a mare ad Aspra in bicicletta e le uniche persone che incontravamo erano gli impagliatori di sedie. Adesso è un obbrobrio, io non posso andarci, non si vede più neanche il mare, un mare sporco. Non c’è più un rapporto sereno e felice, dialettico con il mare. 
È una perdita». 
La Sicilia della sua adolescenza dava la possibilità alle donne di crescere libere? 
«Non direi. Erano gli anni Cinquanta e la bellezza del territorio corrispondeva a una mentalità bigotta, molto moralista. Abituata ad andare a scuola da sola, fermarsi a parlare con un mio compagno era considerato quasi una perversione, si doveva andare accompagnate. 
Adesso la Sicilia è un altro mondo, è cambiata in bene, c’è stato un cambiamento epocale». 


La Repubblica Palermo, 6 febbraio 2024

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