La basilica di Superga
DI MASSIMO FIRPO
Vittorio Emanuele di Savoia è morto, pace all’anima sua. Leggo con qualche sconcerto che sarà sepolto nella basilica di Superga, e mi domando perché, per quale ragione? Leggo altresì che ciò richiederebbe l’autorizzazione dello Stato italiano e della Chiesa: opino che ciò dipenda dal fatto che la basilica è di proprietà demaniale e che la sepoltura in chiesa è possibile solo in cappelle gentilizie di proprietà privata rigorosamente inaccessibili al pubblico (il che non è il caso di Superga).
Penso che sia vero e non mi inoltro in questioni giuridiche sulle quali non ho la minima competenza, augurandomi, pur senza speranza, che tale permesso non venga concesso. Vorrei solo chiedere pacatamente a che titolo un personaggio come il defunto Savoia meriti qualche eccezione o autorizzazione di sorta, salvo che ancora non valgano i privilegi nobiliari e dinastici. Con grande sagacia sua e dei suoi avvocati il suddetto Savoia è riuscito a sfuggire a processi e accuse che lo hanno visto di volta in volta responsabile di traffico d’armi, membro della loggia massonica e golpista P2 di Licio Gelli e soprattutto di un tragico omicidio nell’isola di Cavallo. C’è anche dell’altro, ma questo basti.
Allora, a che titolo? Per quale merito, per quale prova d’onore, per quale gratitudine che la patria gli debba?
Forse perché reca il nome di una dinastia che nel 1861 con Vittorio Emanuele II si pose alla testa del neonato Regno d’Italia?
Re galantuomo, si disse, che ebbe la grande virtù di fidarsi di Cavour e di dedicarsi soprattutto a cacciare stambecchi e belle donne, al quale successe però un reazionario di ferro quale Umberto I che lasciò mitragliare la folla a Milano nel 1898, e poi Vittorio Emanuele III, detto Sciaboletta, a causa delle inedite dimensioni dell’arma che ogni tanto doveva cingere per adattarsi alla sua bassa statura. Certo un problema serio per un re, poveraccio, e non era colpa sua.
Ma colpa sua, e imperdonabile colpa fu quella di non aver decretato lo stato d’assedio nel 1922 e aver lasciato dilagare le squadracce della marcia su Roma per affidare poi a Mussolini l’incarico di primo ministro. Eper vent’anni fu complice del regime, certo irritato per il ruolo sempre più invasivo e dilagante del Duce, ma compiaciuto e soddisfatto del titolo di imperatore di un’Etiopia conquistata con i gas asfissianti, e disposto a chiudere gli occhi di fronte a omicidi politici a partire da quello di Giacomo Matteotti, a firmare senza batter ciglio le liberticide leggi fascistissime del 1925-26 e le leggi razziali del ’38, a trascinare l’Italia in guerra e a fuggire ignominiosamente da Roma dopo la firma dell’armistizio lasciando il Paese in balia dei tedeschi.
Certo, le colpe dei padri non devono cadere su figli e nipoti, ma non sarà inutile ricordare che in un’intervista televisiva il sedicente Vittorio Emanuele IV, alla domanda se si sentisse in dovere di chiedere scusa per le leggi razziali, rispose di no, aggiungendo atrocemente che «non erano leggi così gravi», destando l’indignata opposizione di Carlo Azeglio Ciampi al provvedimento che consentiva ai discendenti di casa Savoia di rimettere piede sul suolo italiano, come sin lì vietato dalla Costituzione.
Fu poi Berlusconi nel 2003 a riaprire le porte del Paese alla famiglia che era stata complice dell’alleanza col nazismo, della vergogna delle persecuzioni antiebraiche e di una guerra iniqua e perdente che aveva trascinato il Paese in un indicibile baratro di morte, fame, miseria, disperazione.
A che titolo dunque, se non come discendente di tale dinastia, il dottor Vittorio Emanuele ora scomparso dovrebbe essere sepolto a Superga? Con il referendum del 1946 l’Italia si sbarazzò dei Savoia e divenne una Repubblica, a Dio piacendo.
Non c’è alcun motivo di rispolverare glorie patrie per un personaggio che di glorie ne ha ben poche, anzi proprio nessuna, a voler essere benevoli. È sempre vissuto lussuosamente a Ginevra e penso che sarebbe tanto, tanto opportuno che a Ginevra riposi in pace, nei secoli dei secoli, possibilmente in un cimitero pubblico, come i comuni mortali, come i giocatori del grande Torino che sulla collina di Superga persero la vita e meritano il ricordo di tutti.
La Repubblica, 5 febbraio 2024
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