Fabiana Mascolino
Passa il tempo, passano i governi ma le dighe continuano prosciugarsi. Una costante tutta siciliana quella della crisi idrica, un’emergenza che l’Isola ha sempre affrontato ma non è mai stata in grado di superare, lasciandosi inghiottire da ritardi e ingarbugliati iter burocratici che ne hanno sempre rallentato la corsa.
Oggi si parla di cambiamento climatico ma le criticità si fondano su radici ben più profonde e i rapidi cambiamenti ambientali sono solo la ciliegina sulla torta che aggravano ulteriormente una situazione già abbastanza compromessa. Da Catania a Palermo, da Messina a Trapani: problematiche diverse ma tutte unite dalla stessa sorte nefasta. L’elemento di consolazione (se così si può definire) è l’attenzione anche a livello nazionale che negli anni non è mancata. Da Roma la lente di ingrandimento è stata puntata sulla Sicilia, con strategie differenti e pressioni per dichiarare lo stato di emergenza reiterato a più riprese. Visti i risultati a oggi raggiunti qualcosa è certamente andato storto o più semplicemente non è bastato.
La strada più semplice da percorrere è sempre stata quella delle soluzioni-tampone, come quando nel 2018, per arginare la crisi idrica nel palermitano arrivò l’ok per la realizzazione di alcune opere in grado da fare da soluzione-ponte a supporto delle difficoltà: mini dissalatori per trattare l’acqua della sorgente di Presidiana a Cefalù. Fu presa in considerazione l’ipotesi relativa all’esproprio di alcuni pozzi nel palermitano e la realizzazione di alcune zattere galleggianti per prelevare il volume ‘morto’ dell’acqua nelle dighe, quello cioè che si trova al di sotto del tubo di presa, recuperando così alcuni milioni di metri cubi d’acqua. Tappa buchi che hanno solo aggravato i disagi vissuti dalla migliaia di cittadini dimenticati, isolati e tagliati fuori dal servizio ma anche il settore agricolo. Non è un caso che uno dei punti messi nero su bianco dalle proteste dei trattori siciliani sia legato proprio all’allarme siccità. Al vaglio delle varie riunioni anche la possibilità di sopperire all’emergenza con l’ipotesi di determinare un collegamento tra le dighe siciliane. E’ il caso del territorio ennese con il tentativo, proposto alcuni anni fa, di facilitare lo scambio attraverso un sistema di rete in grado di mettere in comunicazione la diga Ogliastro con l’adduttore della diga Nicoletti per determinare un travaso di acqua dalla zona dell’ennese a quella di Catania e Siracusa.
Al momento la Sicilia è l’unica regione d’Italia e tra le poche d’Europa in zona rossa per carenza di risorse, alla pari di paesi come Marocco e Algeria. Una condizione che, a inizio mese, ha “costretto” la giunta a dichiarare lo stato di calamità naturale da siccità severa. La decisione è arrivata a pochi giorni di distanza dalla pubblicazione dei primi risultati dell’Osservatorio permanente per gli utilizzi idrici. La cabina di regia è stata istituita lo scorso novembre, presso i locali dell’Autorità di bacino a Palermo, per monitorare e prevedere gli eventi di siccità e gestire quelli di scarsità idrica. Non si tratta certamente di una risposta innovativa ma che al momento ha fruttato un ottimo punto di partenza e di riflessione, con la previsione di un piano da circa 150 milioni di euro. Al suo interno ovviamente non è stato dimenticato il sistema delle dighe.
IlSicilia.it, martedì 20 Febbraio 2024
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