di LAURA LIISTRO
Siamo a Villalba, provincia di Caltanissetta, il 4 dicembre 1943 intorno alle 19.00, quando un uomo viene colpito a morte con tre-quattro proiettili di arma da fuoco sparatigli alla spalle. Si stava dirigendo al circolo dei civili in compagnia di Benianimo Farina e Giuseppe Scarlata.
La vittima è il maresciallo Pietro Purpi, comandante della locale stazione dei Carabinieri. Era nato a Petralia Sottana, provincia di Palermo, il 23 novembre 1905. Dopo aver frequentato le scuole elementari e medie e conseguito il titolo di studio di terza complementare, all’età di vent’anni, si arruolò nel 31° Reggimento di Fanteria conseguendo il grado di caporale dell’esercito. Poi transitò nell’Arma dei Carabinieri, prestando servizio presso il Comando Legione Carabinieri di Palermo. E dopo aver frequentato il corso per sottufficiali, nel 1935, ottenne il grado di vicebrigadiere.
Il 18 gennaio 1943, con il trasferimento col grado di “Maresciallo d’Alloggio Ordinario” nella stazione di Villalba, iniziò un periodo molto difficile della sua vita. Allora Villalba era un territorio intriso di operazioni di guerra ad alto rischio sotto il profilo dell’ordine e della sicurezza pubblica. Dopo 12 mesi dal suo arrivo, la sua vita fu stroncata tragicamente. Lasciò la giovane moglie Anita Napoli e la figlioletta Marisa Domenica di appena due anni sole e nella disperazione.
Ma perché fu ucciso Pietro Purpi? E da chi? Per molti anni, sono state fornite diverse versioni di cosa fosse realmente accaduto a questo maresciallo. Adesso, grazie alla documentazione fornita dall’Arma e alle attente ricerche di Diego Scarabelli, molti interrogativi hanno trovato una risposta definitiva.
In una prima versione la morte del maresciallo Purpi sarebbe stata provocata dalla sua scelta di proteggere il capo mafia di Villalba don Calogero Vizzini. Secondo questa ricostruzione dei fatti, mentre Purpi si avviava verso il circolo dei civili insieme al sindaco Calogero Vizzini, che era stato messo a capo del comune dagli ufficiali dell’AMGOT dopo lo sbarco in Sicilia, fu colpito a morte da killer che in realtà volevano uccidere il primo cittadino. Il maresciallo, quindi, si sarebbe immolato per salvargli la vita. In realtà, le cose non andarono così.
“La sera del 4 dicembre 1943 Purpi non era in sua compagnia. Tra i due non intercorrevano in realtà buoni rapporti. Anzi il maresciallo aveva mal sopportato di essere stato costretto a concedere il porto d’armi ad alcuni degli uomini di Vizzini”, scrive lo studioso Diego Scarabelli sul notiziario storico dell’Arma dei Carabinieri n. 4/-2019.
Come dimostrato dalle ricerche dello Scarabelli, quella sera del 4 dicembre il maresciallo Purpi si stava dirigendo al Circolo dei civili in compagnia di Beniamino Farina e Giuseppe Scarlata. L’avvocato Farina, nipote di Don Calogero Vizzini, si sarebbe anche lanciato all’inseguimento dei due malviventi e avrebbe esploso alcuni colpi senza colpirli ed identificarli . Chi fu allora a volere Purpi morto? La figlia del maresciallo, scrive Scarabelli, ricorda che la madre le aveva raccontato che a decretare la morte del padre era stato don Calogero Vizzini perché il sottufficiale dell’Arma stava stilando un rapporto inerente alla sua persona e non vi erano buoni rapporti tra i due. Ma di questo dossier non si è trovata nessuna traccia.
Si tenga presente che, in base alle regole di Cosa nostra, non si sarebbe potuto commettere un delitto così eclatante come uccidere un maresciallo dei carabinieri nel centro del paese, senza il placet del capomafia don Calogero Vizzini.
Infatti, scrive ancora Scarabelli: ”Già nel 1927, nel suo processo verbale su una vasta associazione mafiosa, il Maresciallo Paolo Bordonaro, Comandante della Stazione di Sommatino, località in provincia di Caltanissetta, segnalava che un capo mafia gli aveva raccontato che «non si moveva foglia in provincia di Caltanissetta senza il nulla osta di Calogero Vizzini»”.
L’operazione, forse, era stata anche premeditata con l’attivazione della “macchina del fango”. Già all’inizio del novembre del 1943, infatti, il comandante della Legione CC di Palermo aveva ricevuto una lettera anonima in cui si accusava Purpi di cooperare con la mafia.
Dalla ricostruzione storica il Purpi, colpito a morte, fu trasportato inizialmente presso il circolo dei civili e, in seguito, presso la stazione dell’Arma. Avrà il tempo, prima di spirare tra le 20.15 e le 20.30 del 4 dicembre 1943, agonizzante, di informare i colleghi e altri presenti dei suoi sospetti sui fratelli Giuseppe e Ignazio Giambra e su Vincenzo Piazza detto “Manuncola” per via di una mano ipotrofica.
I militari, messi subito sulle loro tracce, riescono a bloccare il 23 dicembre Vincenzo Piazza , ma i fratelli Giambra, non solo rimangono latitanti, ma senza nessun timore della legge, continuano a commettere crimini servendosi persino di bombe a mano.
Secondo la testimonianza di “Manuncola”, sono gli stessi fratelli Giambra ad avergli prima proposto l’esecuzione del Purpi e poi - dopo il suo rifiuto di collaborare con loro - a raccontargli la consumazione del delitto.
La fuga dei due fratelli dura qualche mese, finché nella notte tra l’uno e il due luglio 1944 scoppia un conflitto a fuoco, nei pressi di Mussomeli, tra carabinieri e poliziotti contro la banda Giambra. Solo all’alba, i fratelli Giambra furono ritrovati esanimi mentre gli altri loro compagni di banda, in qualche modo, sfuggirono alla forza pubblica. Gli esecutori del delitto Purpi furono, dunque, i fratelli Giambra, malviventi ed assassini che, inoltre , avevano perpetrato numerosi altri crimini tra Villalba e Mussomeli.
Ma chi fu il mandante? Possibile che sia rimasto per sempre nell’ombra? Possiamo lecitamente avanzare l’ipotesi, alla luce della logica, che il mandante dell’omicidio sia stato il capomafia don Calò Vizzini, come sostenuto con determinazione dalla moglie del maresciallo Purpi. Ufficialmente, però, la domanda è rimasta senza risposta.
Il Comandante della Compagnia Esterna dei CC di Caltanissetta, subito dopo il tragico evento, descrisse la figura del Purpi come quella di un uomo “ligio al proprio dovere, che ricercava con zelo i malviventi per evitare loro di organizzarsi in banda per continuare a perpetrare indisturbati i loro delitti, soprusi ed angherie ai danni della popolazione”.
Finalmente, il 14 novembre 2023 il Ministero della Difesa, con decreto presidenziale n. 129, ha concesso al Maresciallo d’Alloggio Ordinario a piedi Pietro Purpi la medaglia d’oro al valore dell’Arma dei Carabinieri “alla memoria”.
Nella motivazione si ricorda che Pietro Purpi, “Comandante di stazione in area caratterizzata dalla presenza di bande criminali, disponeva un'ininterrotta attività finalizzata a tutelare la popolazione locale vittima di violenze, minacce e altri gravi reati da parte di una banda armata, composta da tre pericolosi malviventi, di cui uno evaso pochi giorni prima e un altro già latitante. Fatto segno a proditoria e improvvisa azione di fuoco in un vile agguato tesogli in pieno centro abitato da due sicari, evidenziando eccezionale senso del dovere e ferma determinazione, riusciva, benché gravemente ferito, a fornire determinanti indicazioni per l'identificazione e l'arresto dei responsabili. Fulgido esempio di eroismo e non comune senso del dovere, spinti fino all'estremo sacrificio.”
Laura Liistro
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