LAURA LIISTRO
La «questione femminile», tra gli anni ’20 e ’30, è stato uno dei temi fondanti della politica estera e interna dell’epoca in quanto fu sottolineata l’importanza della donna come fattore sociale produttivo.
Lo Stato collocava la campagna demografica all’interno della più ampia questione del «risanamento fisico e della razza», teso a contrastare i pericoli biologici che minacciavano l’Italia del primo dopoguerra.
Le donne vennero investite dal Potere di una missione da compiere «non meno sacra di quella del soldato verso la patria»: espletare con dedizione i compiti riproduttivi e materni per vegliare e «curare la razza» a partire dall’infanzia.
L’orientamento politico di quegli anni, in materia femminile,iniziò a delinearsi nel 1925, quando venne istituita l’Opera Nazionale Maternità e Infanzia (ONMI), ente assistenziale voluto dal ministro dell’Interno Luigi Federzoni che riusci’ a materializzare il progetto d’assistenza sociale in tutti i centri urbani d’Italia sia grandi sia piccoli.
Ciò lo dimostrano una serie di scatti fotografici e documenti comunali, conservati nell’Archivio comunale di Solarino (Sr) in cui sono visibili alcuni ambienti della struttura presso l’edificio Ospedale Vasquez .
Dagli antichi documenti comunali si evidenziano caratteristiche della gestione dell’ente come la disciplina adoperata nei confronti degli assistenti che non dovevano permettersi di furtare neppure un semplice uovo previsto nella dieta dei fanciulli ed, infine, l’ideologia imposta ai dirigenti medici.
Quest’ultimi erano il fulcro dell’amministrazione OMNI e, spesso, vivevano nell’incoerenza .
Erano ,infatti, segnati da una ‘doppia personalita’ politica: tenevano la tessera fascista, obbligatoria per lavorare, mentre mantenevano una ‘simpatia d’interesse’ occulta verso pensieri democratici .
Certamente, atteggiamento offensivo rispetto a quei professionisti che , per mantenersi coerenti con la loro ideologia contro il Potere nero, hanno subito in silenzio il confino.
L’ONMI, in Italia, presentò circa 5700 strutture già esistenti e fu incaricata di dimostrare la forza dello Stato capace di mutare la società e perfezionarla secondo progetti imperialistici.
L’escamotage per il finanziamento dell’ingente organismo, preposto al sostegno delle future madri, venne presto indicato dalla tassa sui celibi, entrata in vigore con decreto regio il 13 febbraio 1927, caratteristica della lex Iulia de maritandis ordinibus augustea che rappresentò l’unica misura demografica fascista interamente rivolta agli uomini.
Questa campagna popolazionista fu essenziale per rafforzare la politica del tempo per ragioni di ordine sia economico sia di prestigio internazionale, infatti, si dimostrò altresì idonea ad implementare la bramosia di un governo vilmente sessista.
La donna impiegata era invadente nel mondo patriarcale, perciò, fu necessario restaurare il tipo di famiglia pre-capitalistica, incentrato sulla subordinazione economica e morale della moglie al marito, nonché sulla rigida divisione delle mansioni.
La complicità della classe medica risultò determinante per la creazione dell’imponente opera di propaganda per la profilassi sociale.
Il regime, allo scopo di diffondere argomenti scientifici a sostegno della maternità, pubblicizzò, ad esempio, la relazione tra infecondità e sviluppo del cancro e le pratiche anticoncezionali e la manifestazione di malattie nervose.
La donna ed il suo sentimento risultò, pure, oggetto di studio legato all’intima «verità fisiologica» che governava la sua vita riproduttiva.
Ciò fu dimostrato anche dalla legislazione penale del tempo che, in materia di adulterio, disponeva per le mogli pene più severe , infatti, l’atto di infedeltà del marito aveva l’attenuante per cui la poligamia fosse da considerare nell’uomo come un fatto di natura.
Il Codice Rocco (1930) abbassava la pena in caso di abuso dei mezzi di correzione su moglie e figli ed erano ridotte anche le pene previste per i maltrattamenti (art. 572), mentre in caso di omicidio il massimo della pena era di otto anni e si limitava solamente un freno all’abuso, da parte degli uomini di casa, dei cosiddetti «correttivi» dell’uso di sistemi violenti che potevano legittimamente essere adoperati per correggere o per punire la condotta delle donne disobbedienti.
Gli anni ’20 e ’30 rafforzarono uno stereotipo femminile, istituendo una serie di modelli esemplari, universi simbolici, come quello agreste , indifferenti alle reali condizioni di vita delle donne segnate, per lo più, dall’analfabetismo, dalla fatica e dalla povertà.
La natura della donna venne impiegata dal regime per rafforzare la norma del proprio valore politico.
La maternità, fatta essenza della donna, divenne un modello ideale, assoluto e incondizionato.
La funzione materna si tramutò nell’emblema della femminilità, raccogliendo in sé un codice di comportamenti pensati come coerenti alla stessa sostanza femminile: abnegazione, sacrificio e oblio di sé.
La donna dovrà attendere, purtroppo, molti anni per respirare un cambiamento, infatti, In Italia lo Ius corrigendi, ossia il diritto dell’uomo di educare e correggere la donna, retaggio del mondo romano, sarà abolito dalla Corte Costituzionale nel 1956; invece il modello famigliare fondato sulla gerarchia dei sessi verrà sostituito da quello paritario soltanto nel 1975.
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