di BIANCA STANCANELLI
Gli anni Ottanta si annunciarono a Palermo col passo oscillante di un sicario e i secchi colpi di pistola che assassinarono Piersanti Mattarella, presidente della Regione, e se ne andarono lasciandosi dietro, sugli scogli dell’Addaura, un borsone pieno d’esplosivo, avviso minaccioso per Giovanni Falcone – e, per l’Italia tutta, presagio di stragi.
Se quel decennio fosse una sinfonia – tragica, va da sé – i quattro movimenti sarebbero scanditi in quattro date: 6 gennaio 1980, delitto Mattarella; 3 settembre 1982, delitto Dalla Chiesa; 10 febbraio 1986, inizio del maxiprocesso; 19 gennaio 1988, bocciatura di Falcone a capo dell’ufficio istruzione.
Era una grigia domenica di pioggia stizzosa e intermittente, quel 6 gennaio del 1980. Letizia Battaglia e Franco Zecchin, fotografi de L’Ora, tornavano da una passeggiata quando, sul viale della Libertà, videro una strana folla e sentirono nell’aria l’orribile tensione che avevano imparato a riconoscere come il marchio dei grandi delitti. Impugnarono le macchine fotografiche, corsero verso la folla. Letizia scattò quasi alla cieca, fermò l’immagine di Sergio Mattarella che sostiene il corpo di suo fratello Piersanti, ormai morente. Nel gennaio del 2015, quando Sergio Mattarella verrà eletto presidente della Repubblica, sarà quella foto, rilanciata su siti, schermi tv e pagine di giornale, a simboleggiare l’attimo che aveva trasformato un appartato professore di diritto in un politico di rango. Trentacinque anni prima, la sera di quell’Epifania di sangue, la foto campeggiava sulla prima pagina de L’Ora. A Nicola Cattedra, il direttore chiamato da Roma da Vittorio Nisticò, era bastato un rapido giro di telefonate per convocare nel giorno festivo cronisti e tipografi e preparare un’edizione straordinaria. Piccolo e povero, L’Ora aveva, nell’emergenza, lo scatto e l’orgoglio dei grandi giornali ...
(da "L'Ora edizione straordinaria. Il romanzo di un giornale raccontato dai suoi cronisti", seconda edizione, pag. 213)
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