di PIETRO PETRUCCI
"È il mondo al contrario!". Questa la reazione del premier israeliano Netanyahu (come non pensare al generale Vannacci?) di fronte alla decisione del Tribunale Internazionale dell’Aia di istruire, su richiesta del governo sudafricano, un processo contro Israele per "atti genocidari".
Qualche giorno dopo, di fronte ai giudici dell’Aia, la giurista Ralit Raguan del collegio di difesa israeliano ha rivolto al paese di Nelson Mandela – nel palese tentativo di discreditare chi accusa Israele – l’infamante accusa di "complicità con il movimento terrorista Hamas", che non ha tuttavia circostanziato. Dare lezioni di democrazia e di etica al governo sudafricano sarebbe un compito arduo per chiunque. E se a farlo sono le autorità di Tel Aviv, l’esercizio rischia di diventare controproducente. Vediamo perché.
L’attuale governo di Pretoria è espressione dell’African National Congress (ANC), il partito di Nelson Mandela fondato nel 1913 (34 anni prima della nascita di Israele) come sezione dell’Internazionale Socialista e come movimento “multietnico, areligioso e anticolonialista”, ossia ispirato a princìpi e valori antitetici rispetto a quelli professati dall’attuale maggioranza governativa israeliana, popolata com’è di sovranisti che hanno istituzionalizzato l’identità etnico-religiosa ebraica dello Stato israeliano e fomentano nei territori palestinesi occupati dal 1967 una colonizzazione manu militari ‘di popolamento’, che è la forma più iniqua e anacronistica di colonialismo, basata sulla sostituzione etnica degli abitanti autoctoni con i ‘coloni’, la sconfessione/profanazione di una delle principali conquiste dell’umanità nel ventesimo secolo: il diritto dei popoli all’autodeterminazione.
Non è inutile ricordare in tale contesto che l’ANC ebbe fra i suoi padri uomini come il laicissimo ebreo lituano Joe Slovo, il ‘gemello bianco’ di Mandela, campione dell’anticolonialismo; e che la Costituzione sudafricana del 1997, considerata fra le più avanzate del mondo in materia di diritti civili, veniva definita nel 2001 “un modello per tutti i paesi africani, studiato in tutto il mondo” da Alon Liel, alto funzionario del minstero degli Esteri israeliano.
C’è da chiedersi insomma chi, fra Israele e Sudafrica, abbia più bisogno di qualche lezione.
Certo, il Sudafrica odierno guidato dall’ANC può essere criticato per il suo alto tasso di corruzione, ma è difficile che ricorra a questo argomento un politico come Netanyahu, perseguito egli stesso per corruzione dalla magistratura israeliana e da molti suoi concittadini accusato di prolungare la guerra a Gaza per ritardare la fine ormai inevitabile della sua controversa carriera politica.
L’inconfessabile alleanza fra Israele e il regime dell’apartheid
Lo Stato di Israele, proclamato dai superstiti dell’Olocausto nel 1947 e oggi in così aspro conflitto con il Sudafrica di Mandela, sorto dalle ceneri dell’apartheid, mantenne per quattro decenni (fino appunto alla liberazione di Mandela) rapporti eccellenti con i governi sudafricani andati al potere a partire dal 1948, l’anno in cui fu instaurato a Pretoria un regime di segregazione razziale “di Stato” ad opera del National Party, il partito dei Boeri (discendenti dei coloni olandesi) fra i cui fondatori numerosi erano stati fiancheggiatori del Terzo Reich durante la seconda guerra mondiale. Ciò non impedì a Israele di allacciare con il Sudafrica “bianco” cordiali rapporti bilaterali in tutti i campi e rapporti addirittura “strategici” nell’ambito delle tecnologie nucleari ad uso militare.
Durante i 27 anni che Mandela passò in galera nessun governo israeliano, neanche quelli guidati dai socialisti Rabin e Peres, mosse un dito in favore suo o dei venti milioni di “non bianchi” oppressi in Sudafrica. Peggio ancora, negli anni Sessanta i rappresentanti di Israele all’ONU votavano “per decenza” censure e sanzioni periodicamente rivolte contro Pretoria mentre il governo di Tel Aviv continuava segretamente e sistematicamente a violarle.
Non a caso Mandela, appena liberato, sentì il bisogno di esprimere la solidarietà dell’ANC alla resistenza palestinese.
Netanyahu dal canto suo ha sempre detestato il paese-arcobaleno guidato dall’ANC e confermò la sua antipatia per Mandela disertandone platealmente (fu l’unico leader ‘occidentale’ a farlo) i funerali nel 2013. Qualche mese più tardi si precipitò invece a quelli della Thatcher, una signora che apprezzava Pinochet ma detestava Mandela al punto che quest’ultimo, da presidente sudafricano, respinse al mittente un invito a visitare il Regno Unito speditogli per pura cortesia diplomatica dalla “lady di ferro”.
C’è una foto (già utilizzata in questa bacheca e che ripropongo ora insieme a questo post) che illustra plasticamente la lunga ‘amicizia contro natura’ intrattenuta dal paese dei reduci dell’Olocausto con il regime segregazionista sudafricano fondato da ex-militanti del movimento filonazista e antisemita boero delle ‘Camicie Grigie’. La foto è del 1976 e ritrae l’allora premier israeliano Itzhak Rabin (sì, proprio ”l’eroe di Oslo” del ‘93, “il martire della pace” assassinato nel ‘95 da un fondamentalista ebreo oggi venerato da alcuni ministri di Netanyahu) che riceve l’allora premier sudafricano John Vorster in visita di Stato in Israele. Sì propriol’ex-Camicia Grigia John Vorster, internato per attività filo-naziste dalle autorità britanniche durante la Seconda Guerra; affiliato alla setta massonica boera ‘Broederbond’ come tutti i padri dell’apartheid, tutti fieramente antisemiti finché non ‘annessero’ in blocco la collettività ebraica sudafricana all’élite bianca dominante per rimpolparne i ranghi.
In quel 1976 Mandela era in carcere da 12 anni; il regime sudafricano reprimeva nel sangue la rivolta popolare di Soweto e degli altri ghetti neri usando blindati anti-sommossa prodotti nel kibbuz israeliano di Beit Alfa; reparti militari sudafricani e consiglieri israeliani partecipavano con la benedizione di Kissinger e della CIA all’invasione dell’ex colonia portoghese dell’Angola, per rovesciarne il governo fondato dal movimento anticolonialista MPLA.
Nel 1976 era ministro degli Esteri del governo Rabin l’altro patriarca socialista israeliano Shimon Peres, che molto tempo dopo sarebbe stato interrogato sull’alleanza militar-nucleare Israele-Sudafrica – tenuta segreta e divenuta ancora più stretta negli anni Ottanta - dal giornalista britannico Chris McGreal, autore di un’inchiesta fra le più complete sull’argomento uscita su The Guardian nel febbario del 2006. Peres, racconta McGreal nella sua inchiest “allontana da sé con un gesto della mano la mia domanda sulle questioni etiche sollevate dai legami di Israele con Pretoria, aggiungendo :‘Io non guardo mai indietro. Dal momento che il passato non può essere cambiato, perché dovrei occuparmene?’”. Non disse altro.
Grazie al formidabile lavoro giornalistico di McGreal posso chiudere questo testo citando un’intervista del 2004 del Jerusalem Post ad Arnon Soffer, docente di geografia all’Univesità di Haifa e consigliere governativo incaricato di analizzare "la minaccia demografica costituita dalla popolazione araba". Interrogato su Gaza, Soffer formulo' vent'anni fa un pronostico che riletto oggi suona come una sinistra e precisa profezia :
"Quando ci saranno 2,5 milioni di persone in questo territorio chiuso [Gaza], sarà una catastrofe umanitaria. Queste persone diventeranno ancora più feroci di oggi, con in più le conseguenze della diffusione del fondamentalismo islamico. La pressione alle frontiere diverrà orribile. E ci sarà una guerra terribile, e se noi vorremo sopravvivere sarà necessario uccidere, uccidere e ancora uccidere. Uccidere tutto il giorno, tutti i giorni […] e se non uccideremo, cesseremo di esistere. La cosa che mi preoccupa di più è sapere come faremo affinché i giovani e gli uomini che saranno spediti a massacrare siano capaci di tornare a casa loro e restare persone normali".
PS
Per situare meglio il contenzioso Israele-Sudafrica nel contesto gropolitico regionale e globale consiglio la lettura degli ottimi testi pubblicati nei giorni scorsi su Facebook dagli amici Turi Comito e Alberto Stabile, nelle rispettive bacheche.
Dalla pagina Facebook di Pietro Petrucci
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