L’arch. Taverna (a sx) al convegno sulle mutazioni climatiche svoltosi ad Atene lo scorso 24-25 ottobre |
di GIUSEPPE TAVERNA
Lo scorso 24 Ottobre si è svolto ad Atene un incontro patrocinato dalla Commissione Europea e da Unep/MAP dal tema “Agenda 2030 and the Right to Water of the smaller Islands“ all’interno del quale si è aperto un focus su “water desalinetion and sustainable alternatives for a quality water supply".
Sono stato invitato a trattare, tra i tanti, proprio questo particolare argomento di cui mi occupo da anni. Nel corso dell’incontro sono state analizzate le premesse, che sono inevitabilmente i cambiamenti climatici che stanno investendo la Terra con conseguenze catastrofiche per l’umanità. In altre occasioni, come il Watec di Tel Aviv, Palermo, Venezia e Modena o altri eventi organizzati da Greening The Islands avevo avuto modo di ascoltare illustri studiosi, rappresentanti della Fao e di altre nazioni come Spagna, Malta, Israele sul tema dei cambiamenti climatici che stanno investendo il mediterraneo e le risorse idriche disponibili.
Preliminarmente è necessario individuare l’origine del fenomeno che sta nell’aumento delle concentrazioni di gas serra in atmosfera, che è la maggiore causa dell’intensificazione dei fenomeni legati al così detto cambiamento climatico con enormi conseguenze sul pianeta e sulla nostra vita. Questi fenomeni si possono riassumere attraverso alcuni dati facilmente misurabili che sono:
• aumento della temperatura del pianeta: dal 1861 ad oggi la temperatura media della Terra è aumentata di 0.6°C e di quasi 1°C nella sola Europa. Gli scienziati prevedono per i prossimi decenni un ulteriore aumento della temperatura tra 1,4 e 5,8°C;
• aumento e riduzione delle precipitazioni: per quanto riguarda il trend delle precipitazioni dal 1900 al 2005, è stato osservato un aumento significativo nell’area orientale del Nord e del Sud America, nel Nord Europa e nell’Asia settentrionale e centrale, mentre una riduzione è stata rilevata nel Sahel, nel Mediterraneo, nell’Africa meridionale e in alcune parti dell’Asia meridionale;
• aumento nella frequenza e nell’intensità di eventi climatici estremi: non ci sono ancora dati scientifici dimostrabili sul lungo periodo, ma pare che una conseguenza dei cambiamenti climatici possa essere l’aumento di eventi catastrofici. Potrebbero verificarsi lunghi periodi di siccità, piogge improvvise e di straordinaria intensità, alluvioni, ondate di caldo e di freddo eccessivo. I cicloni tropicali potrebbero essere potenziati dall’aumento delle piogge violente, dei venti e del livello del mare. Molti di questi fenomeni eccezionali stanno diventando ordinari, almeno negli ultimi 10 anni;
• aumento del rischio di desertificazione: un quarto della superficie terrestre è a rischio desertificazione e già oggi l’inaridimento riguarda circa il 47 per cento delle terre emerse, caratterizzate da carenza di piogge e da alte temperature. La regione più interessata è l’Africa, con il 73 per cento delle terre coltivate che subiscono degrado e desertificazione, ma altre aree in Asia, America Latina e nord del Mediterraneo sono degradate o minacciate. Neanche alcune zone di Paesi sviluppati, come Stati Uniti e Russia, sfuggono all’avanzata del deserto;
• diminuzione dei ghiacciai e delle nevi perenni: fin dal 1980, il significativo aumento della temperatura terrestre ha portato alla recessione dei ghiacciai sempre più rapida e onnipresente, in modo così forte che alcuni ghiacciai sono scomparsi completamente e l’esistenza nel mondo di un gran numero di quelli rimasti è minacciata, tanto che oggi quasi 9 ghiacciai su 10 si stanno sciogliendo. In regioni come le Ande nel Sud America e l’Himalaya in Asia, la scomparsa dei ghiacciai avrà un potenziale impatto sulle risorse idriche. Il ritiro dei ghiacciai montani, particolarmente nel Nord America occidentale, Asia, Alpi, Indonesia e Africa, e nelle regioni tropicali e subtropicali del Sud America, è stato utilizzato per fornire prove qualitative in merito all’aumento delle temperature globali fin dal XIX secolo;
• crescita del livello del mare: il sostanziale ritiro attuale e l’accelerazione del tasso di recessione dal 1995 di un certo numero di ghiacciai possono prefigurare l’innalzamento del livello marino, producendo un effetto potenzialmente drammatico sulle regioni costiere di tutto il mondo. Negli ultimi 100 anni il livello del mare è aumentato di 10-25 cm e sembra che possa aumentare di altri 88 cm entro il 2100;
• perdita di biodiversità: molte specie animali non saranno in grado di adattarsi a questi rapidi cambiamenti climatici. Gli studiosi, infatti, hanno stabilito che gli ecosistemi sono in grado di adattarsi solo a cambiamenti pari a 1°C in un secolo. Tra gli animali più a rischio troviamo gli orsi polari, le foche, i trichechi e i pinguini;
• diffusione delle malattie: sembra che il cambiamento climatico possa favorire la diffusione di malattie tropicali come la malaria e la dengue. Infatti, le zanzare che portano queste malattie, si stanno spostando verso nord, dove la temperatura è in aumento. Inoltre, l’aumento di temperatura favorisce l’inquinamento biologico delle acque, facendo proliferare organismi infestanti;
• problemi nella produzione alimentare: piogge eccessive e caldo intenso mettono a rischio le colture, provocando carestie e malnutrizione. La Food and Agricolture Organization of the United Nations (FAO) sostiene che ci sarà una perdita di circa 11% di terreni coltivabili nei Paesi in via di sviluppo entro il 2080, con riduzione della produzione di cereali e conseguente aumento della fame nel mondo.
Il clima che cambia, pertanto, era imprescindibile a un evento come quello che si è tenuto ad Atene, un’appuntamento necessario per approfondire, discutere, fare domande e, infine, acquisire consapevolezza dei problemi per poter agire responsabilmente, perché il clima è, in realtà, strettamente legato alla disponibilità delle risorse alimentari necessarie per le possibilità di vita e di benessere dell’umanità.
L’alterazione di questi fattori sta cambiando, ma cambierà ancor più in futuro, la nostra vita quotidiana. I maggiori problemi che dovremo affrontare e cercare di prevenire con adeguate strategie di adattamento, riguardano:
• le ridotte disponibilità di acqua, non tanto per l’aumento della temperatura media, quanto soprattutto per il diverso regime delle precipitazioni e degli eventi meteorologici estremi e a causa della riduzione dei ghiacciai e delle portate dei fiumi;
• l’aumento del numero dei “migranti ambientali” cioè quelle persone costrette a lasciare i territori di nascita o di elezione perché resi invivibili dalle conseguenze dei cambiamenti climatici. I numeri di questi “eco-migranti” sono in costante crescita, in corrispondenza dell’intensificazione delle catastrofi ambientali che hanno colpito la terra. Ma anche eventi climatici meno immediati, come ad esempio la desertificazione o la perdita di produttività del suolo, inducono le persone ad abbandonare le loro case in assenza di quelle condizioni di base che rendono il territorio vivibile. Oggi un milione di persone ogni anno migrano forzatamente dalla propria terra a causa dell’aumento della desertificazione e la cifra è destinata a salire. Tanto che, secondo l’United Nations Convention to Combat Desertification (UNCCD), la Convenzione ONU sulla desertificazione ratificata da circa 200 Paesi, da qui al 2030 un numero pari a 60 milioni di persone potrebbe spostarsi dalle zone desertificate dell’Africa Sub-sahariana verso il nord Africa e l’Europa
• i cambiamenti dei sistemi ecologici e forestali, che tenderanno in parte a disgregarsi (quei sistemi meno veloci ad adattarsi alle mutate condizioni), e in parte a spostarsi verso più alte latitudini, con le conseguenti modifiche del paesaggio e con profonde implicazioni soprattutto nei settori dell’agricoltura, del turismo e tempo libero
• le modifiche degli ambienti marino costieri, sia a causa dell’innalzamento del livello del mare, sia per l’acuirsi dei fenomeni estremi come le mareggiate, con implicazioni su tutte le attività produttive condotte nei territori costieri e perfino sul patrimonio storico, artistico e culturale (come nel caso di Venezia) le ripercussioni sul sistema socio-economico, non solo per le mutate condizioni di sviluppo economico, ma anche per le mutate opportunità di lavoro e di occupazione delle nuove generazioni e per i maggiori rischi sanitari della popolazione più vulnerabile agli effetti dei cambiamenti del clima.
E allora quali sono le discipline con cui l’uomo può contrastare il cambiamento climatico per quanto riguarda l’acqua? La prima innanzitutto fare un buon uso di quella esistente, eliminando le perdite in rete che sono in alcuni casi il 70%, regimentare i corsi d’acqua facendoli confluire negli invasi, utilizzare anche l’acqua del mare dissalandola soprattutto nei paesi a rischio imminente desertificazione, tenendo presente che il mare è una miniera e contiene molti minerali che non vanno buttati nei processi di dissalazione, utilizzare le acque reflue per i processi di irrigazione.
Certamente ognuno poi deve fare la sua parte. E quì i paesi emergenti che rivendicano un tempo perduto rispetto ai paesi già industrializzati devono comprendere che il danno oramai è fatto e non serve pretendere di compensare oggi quello che gli altri hanno fatto ieri in un momento in cui il pericolo è imminente .
Architetto Giuseppe Taverna
Corleone 29/ottobre 2023
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