sabato, dicembre 02, 2023

Sorella Sanità, un solo assolto. Pena più pesante per Candela


L’ex direttore generale dell’Asp dovrà scontare 7 anni e 4 mesi È accusato di concussione e di aver incassato diverse tangenti

Fabio Geraci

Palermo - Tutti condannati, anche in secondo grado, i dirigenti, gli imprenditori e i faccendieri coinvolti nel processo «Sorella Sanità» che ha scoperchiato il patto, infarcito di tangenti, per dividersi gli appalti milionari della Regione.

La prima sezione della Corte di appello di Palermo ha aumentato di otto mesi la pena inflitta ad Antonio Candela, ex direttore generale dell’Asp del capoluogo ed ex responsabile della cabina di regia regionale per il contrasto al Covid in Sicilia, perché ritenuto colpevole anche di un episodio da cui era stato assolto dal Gup: l'ex paladino dell’antimafia, dagli iniziali 6 anni e 8 mesi, dovrà scontarne adesso 7 anni e 4 mesi. Stesso meccanismo, con l’accoglimento del ricorso della Procura, pure per il faccendiere Giuseppe Taibbi, che ha avuto sei mesi in più e dunque la pena finale è stata di 6 anni e 4 mesi. Per entrambi è stata fatta valere una concussione, riqualificata in induzione indebita a dare o promettere utilità.

I giudici hanno trasmesso gli atti ai pm affinché valutino se muovere l’addebito pure a Fabio Damiani, l'ex responsabile della Centrale unica di committenza degli appalti in Sicilia. Per quest'ultimo, che aveva ricoperto anche il ruolo di ex manager dell'Asp di Trapani e per l'imprenditore agrigentino Salvatore Manganaro, il Collegio presieduto da Adriana Piras, consigliere relatore Mario Conte, a latere Riccardo Trombetta, ha confermato le condanne rispettivamente a 6 anni e mezzo e a 4 anni e quattro mesi. Ma anche le altre persone a giudizio si sono viste ribadire le pene: 7 anni e 2 mesi a Francesco Zanzi, ex ad della Tecnologie sanitarie; 5 anni e 10 mesi per Roberto Satta, ex responsabile operativo della Ts, Tecnologie sanitarie e a Salvatore Navarra, ex presidente del Cda della società Pfe. Unico assolto Angelo Montisanti, responsabile della Siram in Sicilia, difeso dagli avvocati Marcello Montalbano e Claudio Livecchi.

Lo spaccato di malaffare e arricchimenti drenando le risorse pubbliche era venuto fuori dalle oltre cinquecento pagine dell’ordinanza di custodia dell’operazione «Sorella Sanità» messa a segno dal nucleo di polizia economico-finanziaria della guardia di finanza.

Nelle intercettazioni agli atti dell’inchiesta, Taibbi parlava dei metodi per incassare il danaro, che poi in parte versava a Candela attraverso fatture false. La consegna delle buste piene di soldi sarebbe avvenuta in varie circostanze e con diversi metodi, ovvero in bar e ristoranti di Mondello, al porticciolo di Capo Gallo e anche in casa dello stesso Candela che, dopo aver ricevuto nell’ottobre del 2016 la medaglia al merito dal presidente della Repubblica, era considerato da qualche anno un paladino dell’anticorruzione e della sanità pulita. Anche Damiani, che poi ha raccontato tutto ai magistrati, avrebbe intascato mazzette per spianare la strada alle imprese interessate a vincere le gare.

L’indagine della guardia di finanza sugli appalti nella sanità era partita dall’esposto di una ditta che segnalava alcune criticità nella procedura di gara per l’affidamento della fornitura del «servizio di lavanolo», il lavaggio di biancheria e coperte degli ospedali siciliani. La gara fu poi annullata per decisione del Tar nell’aprile 2018. La denuncia fece partire approfondimenti investigativi sulle gare bandite dalla Centrale unica di committenza, di cui il responsabile era Damiani.

GdS, 2/12/2023

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