L’intervista de Il Fatto Quotidiano al senatore del M5S RobertoScarpinato. Qui il testo integrale:
Il governo ieri alla Camera ha dato parere favorevole all'emendamento Costa che vieta la pubblicazione delle ordinanze di arresto. Roberto Scarpinato, senatore M5S, ex magistrato antimafia a una nostra richiesta di commento ci risponde con una provocazione: "Se il motivo è di tutelare la privacy dell'indagato perché esiste la presunzione di innocenza, allora dovremmo arrivare al punto di vietare pure la pubblicità dei dibattimenti, perché la presunzione di innocenza esiste fino alla sentenza definitiva in Cassazione. In realtà, dietro il feticcio della tutela della privacy, elevato a valore supremo sull'altare del quale sacrificare il diritto all'informazione, si cela ben altro. Più che del giudizio penale hanno terrore del giudizio della pubblica opinione che deve essere tenuta all'oscuro degli affari sporchi dei colletti bianchi". In commissione Giustizia del Senato ieri, su richiesta del governo, è saltato il voto sul ddl Zanettin-Bongiorno che prevede, in caso di sequestro di dispositivi elettronici, un contraddittorio, sulla selezione del materiale, pm-parti in causa, che ha come conseguenza una discovery immediata degli elementi in mano all'accusa.
Senatore, lei aveva depositato un suo disegno di legge che affronta il reale problema della privacy, tutelando al tempo stesso la segretezza delle indagini. Invece cosa succede con la proposta della maggioranza?
Poniamo che il pm scopra che un importante capo della mafia o un politico al centro di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione possiede una cassetta di sicurezza intestata a un prestanome presso una banca. Il pm dispone il sequestro e trova: documenti bancari, corrispondenza, fotografie, filmati. Quindi, procede all'esame del materiale e dispone ulteriori atti di indagine per acquisire altre prove la cui esistenza è emersa grazie agli atti sequestrati, trattiene quelli necessari per le indagini e restituisce all'indagato quelli non pertinenti. L'indagato entro 10 giorni può proporre ricorso al Riesame, ma le indagini proseguono.
Da questo ragionamento come si arriva al sequestro di un dispositivo elettronico?
Metta al posto della cassetta di sicurezza uno smartphone. La differenza non è la natura dei documenti sequestrati, ma il loro supporto. Nel primo caso è cartaceo, nel secondo caso è digitale. Logica vorrebbe che si applichino per il sequestro norme analoghe in entrambi i casi. E per contemperare le esigenze di segretezza delle indagini con la tutela della privacy, in caso di sequestro di smartphone avevo proposto che la copia dell'intero contenuto dello smartphone venisse immediatamente segretata, conservandola nello stesso archivio digitale ove si custodiscono le intercettazioni e che il pm restituisse all'indagato entro 72 ore tutto il contenuto dello smartphone non utile per le indagini, fermo restando il suo diritto di ricorrere al Riesame o instaurare un successivo contraddittorio dinanzi al gip in caso di sequestro di messaggistica.
Invece, cosa sarà approvato?
La maggioranza ha colto il pretesto della tutela della privacy per introdurre un doppio regime. Pertanto, nei casi in cui vengono sequestrati documenti nella forma digitale, il pm non può neppure visionare il materiale. Prima deve dare avviso a tutte le parti coinvolte che si procederà a un esame congiunto del contenuto: una paralisi delle indagini in una fase cruciale che dà tutto il tempo all'indagato di far sparire altre prove. Inoltre, immagini se per ogni foto, per ogni chat, per ogni pizzino "elettronico" di Matteo Messina Denaro fosse stato necessario prima di convalidare il sequestro aprire un contraddittorio con la sua difesa. E' un vero e proprio regalo alle mafie e a tutte le forme più gravi di criminalità professionale. Per di più si realizza, in realtà, una grave violazione della privacy: con il contraddittorio il contenuto dello smartphone sarà messo in piazza dinanzi a una decina di persone.
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