ACHILLE OCCHETTO
Non c’è una opposizione. Questo è il mantra diffuso dai mass media, anche da quanti si oppongono con vigore alle attuali derive autoritarie, inconsapevoli di correre il rischio di alimentare senza volerlo l’area dell’astensionismo.
Non ci si accorge che quel mantra è vero solo in parte. Se si sta ai fatti le sinistre e la stessa opposizione sociale negli ultimi tempi hanno rilanciato, attorno a obiettivi concreti e comprensibili, gli stessi temi discussi nei talk politici dove nel contempo si denuncia la mancanza di una opposizione.
In quella denuncia, tuttavia, c’è del vero. Si tratta del venir meno di una unitaria visione comune di futuro, di Paese e di mondo. Cioè di un “orizzonte ideale” che sappia accompagnare le singole rivendicazioni e la “ragione della politica” con il “sentimento”, la “passione”, necessari a mobilitare le coscienze. Ma questo deficit di futuro accomuna tutta la società italiana. Ce lo spiega l’ultimo rapporto del Censis quando dice che siamo “sonnambuli” in un gorgo indistinto dove il “ripiegamento in piccole patrie e rivendicazioni” ha offuscato i grandi impegni collettivi. Se le cose stanno così spetta, non a un solo partito, ma a tutta l’area democratica, mettere culturalmente ordine in questo gorgo inestricabile. Quando alle miserie del presente si contrappongono le grandi tensioni ideali del passato occorre sempre ricordare che quella cultura, quella passione politica che si faceva popolo, aveva le sue origini unitarie nella sorgente della “democrazia antifascista”.
Anche la cosiddetta egemonia della sinistra, nella quale io colloco il pensiero di comunisti, socialisti, azionisti, delle più avanzate correnti del cattolicesimo democratico e di molti intellettuali indipendenti, si è abbeverata a quella sorgente.
Perché l’egemonia culturale non si forgia, come si crede oggi, nelle segreterie dei partiti o per disposizioni ministeriali, ma nel fuoco degli eventi storici. Ecco il punto.
Oggi manca una visione d’insieme della fase storica. E quindi tutti, proprio tutti, non possono riversarla sulle genti e farla diventare senso comune di una coscienza collettiva.
Però nella ricerca è già importante porsi le domande giuste.
E la prima non può che partire dall’alto. Se vogliamo fornire un abbozzo di risposta su quale fase storica stiamo attraversando, ci accorgiamo che viviamo in un periodo drammatico di “disordine internazionale” in cui nessunolavora a un “nuovo ordine”. E che penzoliamo sull’orlo di un abisso da cui emergono almeno tre emergenze principali. La strisciante distruzione della vita umana sul Pianeta; la voragine della diseguaglianza mondiale; le ondate di migrazioni bibliche. Il tutto accompagnato dalla “guerra-patchwork” mondiale e da minacce pandemiche. Ci sarebbe quanto basta perché il Pianeta si faccia sistema: unisca le sue immense potenzialità per fronteggiare le emergenze strutturali. Ponendo al centro la riconversione delle competenze e delle attività produttive; a cominciare dalla messa al bando delle armi di distruzione di massa e dal disarmo in un quadro di sicurezza comune.
Utopia? Sì, certo, ma è un’utopia del possibile. Se invece vogliamo continuare a vivere da “sonnambuli”, allora non parliamo più della necessità di una “visione”. È facile farsi belli con questa espressione se poi non si getta il cuore oltre l’ostacolo. Se ci si limita a chiederlo ai politici di turno. La frammentazione della società ha contagiato anche una cultura prigioniera delle singole “ontologie regionali”, come avrebbe detto Husserl. In sostanza, siamo tutti colpevoli. Per questo mi limito a constatare che sarebbe sufficiente comprendere e fare comprendere il legame tra distruzionedel Pianeta, diseguaglianza planetaria, guerra mondiale strisciante, incombenze pandemiche dentro una visione unitaria della comune sicurezza, del riscatto femminile e della liberazione umana. Si tratta di contrapporre alla retorica populista della paura l’orizzonte della speranza del riscatto. L’idea che, come umani, ce la possiamo fare.
Naturalmente tale visione dovrebbe esprimersi attraverso nuovi obbiettivi mobilitanti. Mi limito a un esempio. Le catastrofi indotte dal riscaldamento globale colpiscono l’agricoltura. Una politica che sappia collegare una visione di Paese ai destini delle persone potrebbe suscitare un nuovo movimento nelle campagne più sensibile alla lotta ambientalista. Ridando “potenza alle spinte collettive”; reinventando il rapporto tra individuo e comunità. Solo così potremo superare il limite della politica: quello di mantenere distinte le singole rivendicazioni. È naturale per i movimenti sorgere sulle singole evenienze, è un doveredella politica fornire una sintesi. Tuttavia non possiamo nasconderci la radicalità che animava la tensione ideale della politica del secolo scorso. La “visione” si fondava sulla comune esigenza, che animava la giovane democrazia antifascista, di cambiare le basi del sistema. La più eloquente testimonianza la troviamo nel commento alla Costituzione di Piero Calamandrei, che sottolineava come quel testo avesse «un evidente valore progettuale, ponendosi contro il vecchio ordine sociale». Era il compromesso più alto a cui era giunta la “democrazia antifascista” che si muoveva verso un controllo sociale della vita economica. Oggi le schegge dello specchio in frantumi della cultura italiana, e non solo, considerano un delitto contro il “Sistema” distinguere tra sistema democratico e sistema economico e sociale. Chiediamoci dunque: è possibile riprendere, solo come suggestione e in modo aggiornato, la predicazione socialista che educava operai e contadini a guardare verso un orizzonte? Se non vogliamo fare questo, accontentiamoci dell’eterno presente che non sa più declinare passato, presente e futuro. A parer mio, dopo aver esecrato le ideologie, è sterile coltivare la nostalgia di un passato glorioso di passione civile e politica.
Occorre far rivivere quella passione in forme nuove dentro il gorgo della contemporaneità. A partire dalle passioni dei movimenti ecologisti, antirazzisti, femministi, per la pace e contro ogni violenza. In una sintesi alta tra questione ambientale e sociale, tra diritti civili e sociali. Consapevoli che la visione unitaria delle emergenze strutturali ha bisogno di un collante. Lo stesso indicato da Calamandrei: l’aspirazione a un ordine sociale nuovo e a un diverso modello di sviluppo, nel contesto di un nuovo mondialismo.
Prendendo le mosse da un’analisi severa della crisi della democrazia come condizione necessaria per farla sopravvivere in un mondo dominato da una torsione populista e autoritaria. Ma questo è un altro argomento.
Per il momento mi limito a sollevare questioni di atteggiamento e metodo sul “se e come” fornire una visione, articolata nei programmi, ma unitaria nelle aspirazioni, alla democrazia militante che si sente erede del lascito dei Padri e delle Madri Costituenti. Lascito che si basava su due pilastri: la centralità del mondo del lavoro e la radicalità del cambiamento sociale. Senza quello, altro che sonnambuli!
Sarà “il sonno della ragione” che rischierà di precipitarci in un mondo dominato dalla logica esclusiva di una geopolitica contrassegnata, una volta di più nella storia, dalla violenza.
La Repubblica, 28/12/2023
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