di ALBERTO STABILE
Alcuni soldati israeliani, in assetto di guerra, entrano in una moschea di Jenin e dal microfono collegato con gli altoparlanti esterni intonano canzoni e levano preghiere tipiche della festa dell’Hanukkah. che si concluderà il 15 dicembre. Hanukkah celebra la conquista di Gerusalemme e la consacrazione di un nuovo altare nel Tempio. Per cui sarebbe facile vedere nell’azione sconsiderata di quei militari un parallelismo, un richiamo con le drammatiche tensioni che attraversano il mondo ebraico e quello islamico in questi giorni.
Il microfono aperto nel video messo in rete, a quanto pare, da un battaglione di riservisti, evidenzia il dileggio implicito nelle risatine di altri soldati sullo sfondo del sonoro e lo scopo intimidatorio del messaggio rivolto alla popolazione di Jenin, laddove afferma che “Israele non è disposta a tollerare oltre la presenza di terroristi in città”.
Con questo pretesto, la città martire per eccellenza dei Territori palestinesi sotto occupazione, sta subendo un attacco feroce che ha già prodotto 11 morti. Morti che si aggiungono ad altre decine di vittime (circa 289, oltre a 4000 arresti in tutta la West Banki, dal 7 ottobre) in quella che appare come la versione non dichiarata della guerra scatenata non soltanto contro Hamas nella Striscia di Gaza, ma anche contro i palestinesi della Cisgiordania in risposta al gravissimo attacco condotto da Hamas contro le comunità israeliane al confine con la Striscia di Gaza. Attacco al quale le formazioni militanti della West Bank sono rimaste del tutto estranee.
Ma è un fatto che ben prima del 7 di Ottobre, a conferma della stretta nei confronti del movimento nazionale palestinese imposta dal nuovo governo di estrema destra guidato da Netanyahu, le forze di sicurezza avevano lanciato un’offensiva contro le formazioni armate della West Bank provocando 250 morti in meno di sei mesi ed effettuando centinaia di arresti. Operazioni spesso collegate alle aggressioni dei coloni nazionalisti e religiosi contro civili palestinesi, compiute per vendicarsi di attacchi subiti, o per spingere gli stessi civili palestinesi ad abbandonare i loro villaggi. Un fenomeno che ha assunto dimensioni talmente vaste e preoccupanti che persino la Casa Bianca, solitamente ben allineata e coperta alle posizioni israeliane, ha dovuto minacciare sanzioni contro i coloni, moltissimi dei quali godono anche della cittadinanza americana, e sono pertanto, da questo punto di vista, inattaccabili. Insomma, un’altra superflua esercitazione di indignazione puramente verbale da parte di Biden.
Di contro, non c’è nulla di retorico nell’azione dissacrante compiuta dai soldati israeliani nella moschea di Jenin, ma c’è molto di arrogante e di insensato. Mi chiedo se il soldato salito sul Mihrab, il pulpito riservato all’Imam durante il rito della preghiera, si sia chiesto come sarebbe stato interpretato il suo gesto nel mondo islamico, al di là dei confini d’Israele e della Cisgiordania. Nella Ryad del religiosissimo principe Mohammed Bin Salman, ad esempio, così interessato a “normalizzare” i rapporti con Israele. O negli Emirati arabi dello sceicco bin Zayed, che i rapporti con Israele li ha già normalizzati. E se pensa, il militare che si è fatto riprendere, microfono alla mano, nel Mihrab, se in questo modo abbia contribuito ad allentare la terribile tensione di questi giorni, tra Israele e paesi arabi, o ad accrescerla, gratuitamente. E se è così, allora, perché lo ha fatto?
“Si sono comportati in maniera grave è in totale contrato con i valori delle Forze Armate (Israeliane) ha tagliato corto un portavoce militare, annunciando “adeguate punizioni”.
Sarebbe interessante sapere se tra i valori dell’IDF rientra, invece, la cattura in massa di uomini, fino a prova contraria, civili, costringerli a spogliarsi fino alle mutande, bendarli, ammanettarli e, dopo averli fotografati ammassati per terra, avviarli verso ignota destinazione per interrogarli. Salvo far sapere dopo qualche giorno che il 10% avrebbero avuto contatti con Hamas.
L’Ora, edizione straordinaria, 15/12/2023
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