La Chiesa dell’Immacolata al Capo di Palermo
Don Francesco Romano / Don Cosimo Scordato
L’otto dicembre, nella tradizione cattolica, è legato alla festa dell'Immacolata Concezione di Maria; seppure la dichiarazione magisteriale risalga alla metà dell’800, l’Immacolata vanta una significativa tradizione; basti pensare al cosiddetto «voto sanguinario» fatto dal senato palermitano già nel XVII secolo per difendere questa verità.
Conosciamo le litanie e i titoli che alla Madonna sono stati attribuiti dal popolo cristiano con allusioni bibliche ricche di metafore; per non dire delle diverse chiese, opere d’arte, oratori musicali che a lei sono stati dedicati; il tutto sostenuto da un pathos affettuoso che fa riecheggiare la figura di Maria nella vita di tanta gente. Non vogliamo ripercorrere questa strada della tradizione;
sentiamo piuttosto di dovere tentare qualcosa di diverso che, seppure si può integrare con l’esperienza del passato e col linguaggio tradizionale, vuole muoversi in direzione di quella bellezza che la festa continua a evocare e che esercita una grande attrazione nella vita della gente.Iniziando dal termine Immacolata ci viene da osservare che esso, per quanto sia qualificativo nei confronti della Madonna in quanto riconosciuta esente da ogni macchia di peccato (incluso quello originale), si connota per il suo carattere negativo di “senza peccato”, come a dire che lei è senza alcuna sporcizia in senso spirituale. Ma dire a una persona che non è sporca non è il massimo complimento che noi possiamo fare; sarebbe bello potere avanzare un complimento, un riconoscimento che si muova al positivo, come di fatto si è espresso l’angelo apostrofando Maria come “piena di grazia”!
Da qui sentiamo di dovere tentare una riformulazione che ci restituisca la figura di Maria nella bellezza positiva della sua persona, facendo ricorso anche a espressioni che ci sono familiari e che possono esprimere meglio e in modo più vicino a noi la sua originalità.
Maria è una persona pulita, trasparente, integerrima; diremmo oggi, una persona veramente per bene e che rifugge istintivamente da ogni esperienza del male o che possa fare del male. Sappiamo che la sua vita è travagliata come la vita di tante donne e di tante mamme; affronta spostamenti e incertezze, ma va avanti con determinazione, senza tirarsi indietro, a viso aperto, fidando in Dio certamente ma mettendo a frutto la sua grazia nella faticosa ricerca della sua esistenza. Tutto questo ce la mostra con una bellezza, come in alone, che fa avvertire il senso di una ulteriorità che la avvolge e l’accompagna.
Ma che cosa ha reso possibile una esistenza così chiara e univoca? Ce lo dice lei stessa attraverso il suo modo di pregare. Nella canzone che lei ha composto per magnificare Dio (il cosiddetto Magnificat) ella ci offre, per così dire, la ricetta di ciò che può prevenire l’esperienza del male in noi e nei confronti degli altri, individuando nella sua radice la sete del potere, del dominio e della ricchezza. Infatti, in primo luogo, Maria qualificandosi come serva rivendica la grandezza di Dio. Il frutto della sua vita integerrima va colto nei suoi atteggiamenti fondamentali che prevengono da ogni scivolamento verso il male: prendere le distanze sia dai potenti e dal potere (Dio “ha rovesciato i potenti dai troni…”); sia dai superbi e dalla loro autoidolatria (Dio “ha disperso i superbi nei pensieri dei loro cuori”); sia dai ricchi e dalle loro ricchezze (Dio “ha rimandato a mani vuote i ricchi”).
Il suo Fiat (“lascia che avvenga secondo la tua parola”) non è una rinunzia alla propria responsabilità, piuttosto un lasciare spazio perché avvenga qualcosa, che inizialmente appare impossibile, cioè la nascita del Figlio di Dio e altrettanto la messa in crisi radicale del potere, della violenza e della ricchezza. Niente di più attuale di questa denunzia che, non a caso, viene fatta da una donna per giunta laica, ovvero non legata alla vita del tempio o alla casta sacerdotale.
Hanno fatto bene gli artisti (pittori, scultori, architetti, poeti, musicisti …) a dare forma a questa bellezza che ha tutto il carattere dell’utopia, che in lei e con lei è resa possibile e vicina alla nostra umanità. Come non ricordare la delicatezza evanescente delle Madonne del Murillo, le intense Immacolate di Pietro e Rosalia Novelli, lo splendore della chiesa dell’Immacolata Concezione a Palermo, per non ricordare gli estatici vagheggiamenti di tanti canti mariani? In essi trasuda la nostalgia di un Paradiso non del passato, ma quello possibile del futuro, che è aperto dinanzi a tutti come compito e impegno quotidiano. La figura di Maria, pur nella sua solida mitezza, aiuta a ribaltare la realtà nella sua crudezza per inaugurare il tempo nuovo, ancora possibile, una realtà ancora tutta da inventare e da vivere.
GdS, 8 dicembre 2023
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