La scrittrice ricorda l’ex deputata comunista “madre” di alcune leggi sui diritti femminili tra le quali anche quella contro la violenza sessuale.
Mi è arrivata la notizia ieri mattina, mentre ero in classe, avevo dato compito di latino, le pagine dei vocabolari frusciavano e le mie lacrime atterravano silenziose sul piano della cattedra. L’ultima volta che avevo sentito Angela era stato un mese fa. Mi aveva scritto che doveva darmi una brutta notizia, l’ho chiamata al telefono e la brutta notizia era quella. Aveva da poco scoperto di essere malata e la settimana successiva avrebbe iniziato le cure. Dedicate queste poche parole alla malattia, che considerava evidentemente un danno collaterale nella sua avventurosa e intensa vita, era passata come di consueto alla pars construens della conversazione.
A quello che c’era ancora da fare, da organizzare, alle iniziative politiche, culturali, sociali da mettere in campo. Con la sua voce roca e sempre puntuta di ironia, connaturata forse al suo bel messinese, Angela mi parlava di futuro, come sempre. Anche se sapeva bene che lei in quel futuro non ci sarebbe stata. Era così, una donna construens . Prima di riattaccare, ci siamo promesse di rivederci in primavera, quando sarei tornata nella sua Messina per incontrare lettori e scolaresche. Poi ci siamo scambiate qualche messaggio, come spesso facevamo per commentare la politica, l’attualità. Era diventata la mia bussola politica, perché lei la politica l’aveva fatta veramente e non a mezzo social, come tanti oggi.Angela Bottari era nata a Messina nel 1945 e si era iscritta al Partito nel 1971. E già a questo punto della storia, la prima volta che me l’ha raccontata, ho fatto tanto d’occhi. Una giovane donna siciliana che si mette in testa di fare politica in un periodo in cui già il privilegio di studiare era per poche. Cinque anni dopo, nel ’76, Angela si presentò alle elezioni per la Camera dei Deputati: il PCI di Berlinguer aveva deciso che bisognava aprire alle donne, e tante, mi raccontava davanti a un piatto di braciole messinesi, vennero candidate in quella tornata e nelle successive. Così Angela arrivò a Roma e restò in Parlamento per tre legislazioni, fino all’87. Furono anni cruciali per il nostro paese, anni di riforme, di grandi conquiste, di diritti, soprattutto per le donne. A Montecitorio Angela si fece conoscere per essere la prima relatrice della legge 442 dell’81 che abrogò il matrimonio riparatore e la prima firmataria, nel 1983, di una legge verso la quale ancora oggi siamo in debito: quella che riconosce la violenza sessuale come un reato contro la persona e non contro la morale pubblica. La legge ebbe un iter lunghissimo e tortuoso e arrivò a compimento solo nel ’96, più di dieci anni dopo. Poi Angela si è occupata anche di altro, di mafia, in particolare, e di giustizia. Ma viene ricordata soprattutto per essere stata la “mamma” della legge sulla violenza sessuale. Anche io la ricordo così, come una grande donna, una grande siciliana e una grande compagna. Madre di figli, di una legge e di tante altre donne che grazie al suo esempio hanno pensato che sì, che era possibile, che si poteva fare. Che partendo dal Sud si poteva arrivare fino a Roma, con voce e cuore di donna a far politica per tutti, uomini e donne. Che c’è sempre qualcosa ancora da organizzare, sensibilizzare qualcuno su un problema e metterlo in contatto con qualcun altro che quel problema lo conosce bene, e insieme provare a risolverlo. Questo una volta si chiamava politica, si chiamava senso della comunità, si chiamava partecipazione. Unpo’ di tempo fa, quando il mito del premierato e dell’uomo forte (che poi può essere anche una donna, tanto è lo stesso) non aveva ancora fatto capolino in questo paese sonnacchioso e smemorato. Era stato in effetti questo il motivo che ci aveva fatto conoscere: io avevo scritto un romanzo che, senza saperlo, parlava anche di lei. Parlava della sua epoca, della sua Sicilia e di una ragazza che aiuta la sua più cara amica, rimasta vittima di una violenza, a denunciare e a rifiutare il matrimonio riparatore, portando avanti questa battaglia per tutta la vita, fino a farsi eleggere in parlamento per fare approvare una legge che liberasse t utte le donne, non solo la sua amica. Ed era così che ragionava anche Angela: quello che si fa, lo si fa per tutte e tutti. Solo così è giustizia. Solo così è progresso.
Non so come farò senza i tuoi messaggi, senza le tue telefonate. È difficile procedere con una bussola che non segna più il nord. Se fossi ancora qui ti parlerei, ad esempio, di quel bel film che è adesso nelle sale e che tutte le donne si stanno dedicando come una lettera d’amore. Ci sei anche tu in quel film, come sei nei miei libri e in tutte le mie storie, storie di donne che a fine giornata si guardano allo specchio e mormorano: c’è ancora domani. Avrebbe potuto essere il tuo motto, cara Angela.
Ieri mattina, mentre cercavo inutilmente di nascondere le lacrime alla classe, una ragazza si è alzata dall’ultimo banco e si è accostata alla cattedra. Stavo per dirle che durante la verifica non si può andare in bagno, quando lei mi ha sorriso e ha detto: posso abbracciarla, prof? Ci siamo strette per alcuni secondi, Angela mia, e in quell’abbraccio c’eri tu. Un abbraccio tra due donne, di generazioni diverse, che si scambiano solidarietà come il più prezioso dei beni, ed il più raro.
La Repubblica, 16/11/2023
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