Lo spettacolo rientra nelle iniziative culturali a cura dell’Amministrazione comunale e viene realizzato grazie all’Associazione Teatro dei due Mari.
Tratto da una storia vera, “Mi chiamo Maris” ha aperto negli ultimi 2 anni la “Giornata Mondiale del Rifugiato” grazie ai progetti di accoglienza attivi in Sicilia e svolto una mini-tournée in Calabria grazie alla società cooperativa Sankara e alla Rete delle Comunità Solidali. Ospite di prestigiosi circuiti, festival e stagioni (“Teatri di Pietra” – Agorai del Mare; “Latitudini” - Radici. Primo movimento la Terra” - Catania SummerFest; “Zo – Centro Culture Contemporanee” – Altre scene, Catania Off Fringe Festival, e altri), lo spettacolo di Fiorito ha percorso e continua a percorrere l’Italia in cerca di continui approdi. La storia di Maris è vera. Venduta, costretta a prostituirsi rimane incinta, viene poi messa su un barcone e spedita in Italia, dove - grazie al sistema di accoglienza - si salva dallo sfruttamento. In Sicilia scopre e matura il sentimento di una maternità conflittuale, fatta di slanci di amore viscerale ma anche di profondo dissidio interiore.
Dal nucleo potente della vera storia della protagonista, parte la drammaturgia di una storia “simbolo” che ha in sé molti elementi archetipici: la guerra, la migrazione, il rapporto con la famiglia di origine e poi la figlia. La rete da pesca e l’acqua sono due elementi dominanti che legano il passato e il presente in un viaggio che avviene - con e attraverso - una “pignata”, una pentola antica che è barca e fulcro di una danza tribale da cui ha origine tutto.
Nella rappresentazione si intrecciano due chiavi di lettura imprescindibili fra loro: una simbolica, epica che si esprime attraverso la danza e la gestualità, e una intimista fatta di parole dissacranti, del racconto-cronaca crudo e disperato.
A tal proposito Chiaraluce Fiorito dichiara: “raccontare la storia di Maris che viene dal mare, (il nome è di pura fantasia per motivi di sicurezza, ma è il giusto nome per la sua protagonista) è un grido rivoluzionario e controcorrente. Non interpreto un personaggio ma narro una vicenda vissuta, quel racconto diventa parte di me come narratrice, come interprete e come donna; è come un libro che apro al momento e lo racconto invertendo le pagine, soprapponendo i capitoli, disegnando tratti, gesti, parole intrappolate in una rete da pesca che diventa pagine da sfogliare, l’ultima delle quali è l’inizio di una nuova storia.
Ed è proprio dalla figlia che scaturiscono la catarsi e l’ultima provocazione lanciata al pubblico: “dai tu un nome a questa pagina di Maris”. Ormai la sua storia è di tutti quelli che l’hanno ascoltata.
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