Sequestro da 43 milioni nei confronti di Salvatore Rubino e Christian Tortora, arrestati nel 2020 assieme al boss Francesco Paolo Maniscalco, tutti coinvolti nel blitz «All In»
Fabio Geraci
Le scommesse sportive all’ombra di Cosa nostra. Un business molto remunerativo nel quale i clan si erano infiltrati per gestire l’immenso flusso di puntate: un giro di soldi che era arrivato a valere qualcosa come 100 milioni di euro. Le aziende che facevano riferimento al boss Francesco Paolo Maniscalco - grazie allo stretto rapporto con la mafia - avrebbero ottenuto numerose licenze e concessioni, rilasciate dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli, creando un vero e proprio impero economico costituito da società intestate a uomini di fiducia. Come il palermitano Salvatore Rubino, di 62 anni, e Christian Tortora, di 47 di Battipaglia, nei confronti dei quali è scattato il sequestro dei beni per 43 milioni di euro: il provvedimento, su richiesta della Procura, è stato emesso dalla sezione misure di prevenzione del tribunale.
Secondo quanto emerso nel corso dell’operazione «All in» dei finanzieri del nucleo di polizia economico e finanziaria, sarebbero stati loro i referenti delle famiglie mafiose di Pagliarelli, Porta Nuova, Palermo Centro, Brancaccio e Noce. I due imprenditori erano stati arrestati nel 2020 assieme Maniscalco: quest’ultimo, nel processo d’appello nato dall’inchiesta, era stato condannato a 11 anni, uno in meno ne dovrà scontare Rubino mentre a Tortora sono stati inflitti 4 anni e 6 mesi di carcere.I sequestri
Il Tribunale ha sequestrato a Rubino un appartamento, una ditta individuale e le società Bet for Bet e Scm service, tutti in via Ildebrando Pizzetti; Tierre game e Alca.Bet a Roma; Gierre Game a Salerno e poi le quote sociali della Only game srl; della Erredue srl (bar, pasticceria, gelateria e yogurteria) ad Ardea; della Saf srl di viale Ercole Bernabei a Palermo (scommesse sportive) e la villa a Favignana in contrada Corso. Mentre a Tortora - oltre a 45 tra conti correnti, conti deposito, deposito titoli, polizze assicurative e buoni postali - sono state bloccate le quote della società di consulenza amministrativa Medi Commerce srl con sede legale a Battipaglia; della Gaming Managment group di Milano; di Gierre Game e Tierre Game in compartecipazione con Rubino; una casa a Battipaglia e una Mercedes Glc.
I centri scommesse
Il gruppo imprenditoriale di Rubino era nato nel 2011 «avviato e gestito in stretta collaborazione con Maniscalco», hanno messo nero su bianco il presidente della prima sezione penale delle misure di prevenzione del Tribunale, Raffaele Malizia e i giudici Erika Di Carlo e Valentina Amenta. Il boss aveva dato 9 assegni circolari da 5 mila euro ciascuno, per un totale 45 mila euro, al suo socio «per l’avvio delle attività nel campo dei giochi e delle scommesse», un finanziamento a cui ne erano seguiti altri confermando così il ruolo principale di Maniscalco «in ogni questione societaria, dalle decisioni strategiche circa l'avvio di nuove società e o mutamenti di compagini sociali, alle questioni relative al recupero crediti, anche avvalendosi della forza di intimidazione». Emblematico il caso della società Bet for Bet: il 50 per cento delle quote erano state assegnate al prestanome Girolamo Di Marzo che, in base alla ricostruzione degli inquirenti, svolgeva il ruolo anche di rappresentante legale, l’altra parte invece era tenuta in mano da Rubino. Ma a decidere cosa fare era appunto Maniscalco. Come nel caso dei fratelli Maurizio e Elio Camilleri, soci della Bet for Bet, attraverso la Sisca, che Rubino aveva estromesso dalla compagine aziendale assecondando gli ordini del suo capo. Ma Rubino, scrivono ancora i giudici, «interagiva non con il solo Maniscalco, ma avviava rapporti commerciali e collaborava nel settore dei giochi e delle scommesse anche con Salvatore Sorrentino, capo della famiglia mafiosa di Villaggio Santa Rosalia, con Salvatore Milano, uomo d'onore della famiglia di Porta Nuova, nonché con Settimo Mineo, capo mandamento di Pagliarelli.
I soldi dei carcerati
Nell’affare delle scommesse c’erano anche i soldi dei carcerati e quelli destinati al sostentamento delle loro famiglie. Almeno così sosteneva il mafioso Salvatore Milano, già condannato per la sua appartenenza alla famiglia di Porta Nuova di cui era stato anche cassiere. Aveva investito circa 50 mila euro nel settore ma adesso ne chiedeva la restituzione a Rubino e a Maniscalco, i quali però avevano un piccolo problema di liquidità. «Al momento non ci sono le possibilità per fare fronte a questa situazione, vediamo e troviamo il modo di farti rientrare questi soldi, ci siamo? Nel modo più tranquillo possibile. Oggi ci possono essere mille euro, domani ce ne possono essere duemila...», era stata la proposta. Alla fine - si legge nel decreto di sequestro - Rubino aveva effettuato una serie di periodici versamenti di denaro contante «nelle mani di Angela Milano, sorella di Totuccio e vedova di Giuseppe Greco, fratello di Michele detto il Papa, utilizzando anche somme messe direttamente a disposizione da Maniscalco.
GdS, 35/11/2023
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