«Lo confesso: sento forte il richiamo della foresta». Riecco Nichi Vendola. Presidente di Sinistra italiana, eletto ieri per acclamazione. «Torno alla politica attiva». Ma no, non si candiderà alle Europee. Prima aspetta – o almeno spera - che l’appello ribalti la condanna in primo grado per l’ex Ilva. «La mia foresta però non è un Palazzo chiuso, ma una piazza aperta».
Perché torna in politica proprio ora, dopo 8 anni?
«Non sono mai fuggito. Ho solo smesso di avere ruoli apicali nella vita pubblica. Ma non ho abbandonato la polis per rifugiarmi in un eremo, si può fare politica anche lontani dai radar dei media…».
E in questo tempo che ha fatto?
«Innanzitutto ho cercato di essere un buon genitore per il mio bambino, imparando ad ascoltarlo e osservando da vicino il mondo dell’infanzia: una realtà che raramente entra nel dibattito politico, se non sotto le insegne dell’ideologia ipocrita della “famiglia tradizionale” o con la violenza della “polizia morale” di un governo che vorrebbe rendere orfani i figli delle famiglie arcobaleno. Poi ho scritto due libri, ho portato in scena in giro per l’Italia “Quanto resta della notte”, un rosario di monologhi sulla disumanità. Posso continuare…».
Come sta la sinistra in Italia?
«Se l’estrema destra abita a Palazzo Chigi vuol dire che la sinistra è messa male, se metà degli elettori non vota vuol dire che anche la democrazia non sta tanto bene. Credo che la prima cosa necessaria da fare per risalire la china sia guardare in faccia la sconfitta, collocarla dentro questa fase drammatica della storia del mondo, lavorando a ritrovare il filo rosso di quella “connessione sentimentale” col popolo che è stata logorata da lunghi anni di governismo e moderatismo».
Conte è di sinistra?
«Lo definirei un progressista moderato. Oppure un populista di centro. Che certo fa bene a rivendicare la bandiera, quella sì di sinistra, del reddito di cittadinanza».
C’è chi dice che il Pd di Schlein somigli a una “grande Sel”…
«Una sciocchezza. Sel provò a stringere col Pd un rapporto fondato sulla rottura con le politiche liberiste, ma quel Pd si portava addosso le controriforme del mercato del lavoro e si caricò sulle spalle il mito degli ottimati della tecnocrazia. Questo tempo è figlio di quelle scelte che facevano della sinistra il volto perbene delle élites . Ora si tratta di cambiare musica. Certamente il linguaggio di Elly è distante anni luce dal politicismo asfissiante e dal riformismo senz’anima che ha portato il Pd a perdersi e a perdere. Ma a lei tocca un compito difficile, la sua e la nostra strada è tutta in salita».
Il campo largo esisterà mai?
«Se partiamo dal camposanto dei diritti che sta costruendo questa destra, allora tutti dobbiamo sentire l’urgenza di costruirlo quel campo, con un confronto programmatico vero, non con un ping pong di slogan, ma poggiando insieme gli occhi sui dolori e le speranze del Paese».
È l’unica via per battere la destra?
«Occorre capire di che via parliamo.
Con un cartello elettorale sulla paura del fascismo non si fa molta strada. Il punto è rimettere al centro la questione sociale e connetterla con i diritti. Il punto è capire che la guerra è terreno di coltura della reazione e delle pulsioni autoritarie».
Dal palco di Si ha detto che Meloni dovrebbe esprimere solidarietà alle “vittime delle performance sessiste” dell’ex Giambruno. Perché anche a sinistra pochi hanno posto il tema?
«Perché c’era di mezzo una donna umiliata dinanzi a milioni di spettatori. E c’era di mezzo la loro bambina. Certo si è visto quanta fiction ci fosse nella vita di coppia celebrata dai rotocalchi. Ma ora che lei pensa di cavarsela con la foto delle donne di famiglia, per dire che non c’entra col patriarcato, glielo voglio dire: avrebbe dovuto dare la propria solidarietà alle donne su cui il suo ex aveva esercitato la sua verve sessista. E la smetta di farsi chiamare “il” presidente. Si rende ridicola».
LORENZO DE CICCO
La Repubblica, 27/11/2023
Nessun commento:
Posta un commento