Le indagini non erano finite. Le intercettazioni suggerivano di proseguire oltre. Troppo ricche le notizie apprese che necessitavano di ulteriori approfondimenti (L’IMPORTANTE MANDAMENTO DI RESUTTANA | gioburgio (wordpress.com)). E così mercoledì 15 novembre sono scattati altri sette arresti che hanno colpito sia la famiglia che il mandamento di Resuttana a Palermo.
Se il 10 luglio scorso tra i 18 arrestati spiccava senz’altro la figura di Salvatore “Salvo” Genova, in quest’ultimo blitz il personaggio al centro dell’attenzione degli investigatori è stato Giuseppe “Pino” D’Amore. Titolare dell’omonimo bar in via Resurrezione, a casa sua è stata ritrovata un’arma lunga modello Skorpion con matricola abrasa. È il tipo di mitraglietta usata dalle Brigate rosse nel 1978 per sterminare la scorta di Aldo Moro, e non è facilmente reperibile. Nel tentativo di scagionare il padre circa il possesso dell’arma, anche Gabriele D’Amore è stato arrestato perché ha dichiarato di averla trovata lui nella spazzatura.
Nelle videoregistrazioni e nelle indagini è emerso che sia il bar che il laboratorio di dolci annesso sarebbero stato luogo d’incontri e riunioni tra gli appartenenti al clan.
Ma soprattutto Giuseppe “Pino” D’Amore sarebbe diventato la persona di collegamento, il tramite, tra il capo mandamento di Resuttana, Salvatore Genova, e il reggente dell’omonima famiglia Sergio Gennusa. Un importante ruolo che ha fatto sì che il Genova lo “raccomandasse” ai suoi, dicendo tra l’altro che “a D’Amore avrebbe dovuto essere attribuito lo stesso riguardo riservato alla sua persona”.
Sono le estorsioni la caratteristica di quest’inchiesta. Un’attività continua e incessante che coinvolge capi e soldati della cosca, che non si lasciano sfuggire attività economica che possa essere colpita. Fino a toccare piccole questioni quotidiane, come il pagamento di un pranzo, che da 600 euro, dopo minacce e pressioni, si riduce a 350.
Conversazioni e registrazioni raccontano di un ambulante che viene picchiato a colpi di casco, privato di furgone e macchina, e il cui padre viene costretto a consegnare il libretto della pensione. E tutto questo perché di un debito di 10.000 euro ne ha restituito solo 3.200. “Lui si deve andare a cercare i soldi ora. Il cornuto si va a vendere il furgone, si va a vendere la macchina di sua moglie, si va a vendere l’oro, si va a vendere quello che si deve vendere, perché non si discute così”, avrebbe detto Giovanni Quartararo che gli aveva fornito scarpe per 10.000 euro.
Altro settore colpito è un consueto business delle cosche: le pompe funebri. In questo caso si tratta dell’ospedale di Villa Sofia, dove un impresario viene autorizzato a “farsi il funerale” una volta che i vertici mafiosi hanno conosciuto la cifra adottata.
E poi a essere raggiunto dai “picciotti” c’è anche il titolare di una scuola di formazione per infermieri specializzati. La retta d’iscrizione al corso di tremila euro non doveva essere pagata dalla figlia di uno degli affiliati.
Unica reazione negativa alle pressioni dei boss è stata quella di un’imprenditrice edile, che minacciata ben due volte di “mettersi a posto” ha denunciato subito l’intimidazione.
In queste indagini, in due distinte occasioni le telecamere nascoste hanno immortalato il rito del “bacio in bocca”. Un rituale antico che però continua ancora oggi. Una simbologia che serve agli adepti per riconoscersi fra loro. Gli inquirenti l’hanno ritenuto una prova dell’appartenenza al sodalizio criminale (non la sola certamente, né la più importante). Insomma, il mondo arcaico di Cosa Nostra s’inserisce facilmente nel contesto moderno.
Giovanni Burgio
23.11.23
https://gioburgio.wordpress.com/2023/11/23/ancora-pizzo-e-pestaggi-a-resuttana/
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