Paolo Borsellino
Il legale dei figli del magistrato: «Voleva arrestare l’allora procuratore. Il dossier mafia-appalti uno snodo per la strage»
Donata Calabrese
«Borsellino voleva arrestare l’allora procuratore Pietro Giammanco o fare arrestare Giammanco». È quanto ha affermato Fabio Trizzino, legale di Lucia, Fiammetta e Manfredi Borsellino nel corso della sua audizione davanti la commissione parlamentare Antimafia. A riferire questo dettaglio, è stato il maresciallo Carmelo Canale. Il legale ha citato anche l’audizione di Maria Falcone davanti al Csm in cui, nel trigesimo della morte del fratello, il 23 giugno 1992, insieme ad Alfredo Morvillo, chiesero a Borsellino di dichiarare davanti al mondo le ragioni che avevano costretto il fratello Giovanni ad abbandonare Palermo.
Paolo disse «state calmi perché sto scoprendo cose tremende, inimmaginabili, consigliandole di non fare una campagna contro Giammanco. Non riferì però i particolari».Borsellino, il 25 giugno ‘92, organizzò anche un incontro segreto, alla caserma Carini di Palermo, con l’allora colonnello del Ros, Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno. In quell’incontro «si parlò di contrasti e circostanze talmente gravi» che portarono Borsellino a convincersi «che quel suo capo era un infedele».
Il magistrato incontrò i vertici del Ros fuori dalla procura, proprio perché aveva scoperto qualcosa di tremendo. L’incontro fu estremamente rapido. Borsellino andò dritto al punto: voleva approfondire le indagini sul dossier mafia e appalti perché conosceva i primi esiti e quel rapporto. Chiese di riprendere il dossier e di riferire solo a lui. «L’audizione di Maria Falcone – ha sottolineato Trizzino – non è mai entrata nei processi ed è di importanza capitale perché riusciamo a rafforzare le motivazioni che portarono Borsellino all’incontro segreto». Inoltre il giudice voleva sapere perché «era in atto una campagna di delegittimazione nei confronti dei Ros i quali si lamentarono del fatto che al dossier non venne data la giusta valorizzazione». Ragion per cui, «tra la procura di Palermo e i vertici del Ros i rapporti diventarono sempre più tesi». Trizzino ha anche parlato del dispiacere del generale Subranni quando apprese che Giammanco inviò il plico contenente il dossier, «al ministero e forse addirittura alla presidenza del Consiglio quasi a delegare all’autorità politica la risoluzione delle potenzialità investigative connesse ad un atto di rilevanza penale». Martelli rispedì al mittente l’iniziativa di Giammanco mentre Falcone chiese al Csm di procedere nei confronti dell’allora capo della procura per la grave irregolarità che aveva compiuto. Il legale, giusto per far comprendere l’importanza di quell’inchiesta, di ben mille pagine e di come sia stata insabbiata, ha detto alla Commissione che quell’indagine, alla fine, portò a soli sette arresti, quando invece Borsellino per un appalto al porto di Pantelleria arrestò 17 persone. «Lì c’era disegnato il mondo», ha sottolineato Trizzino. «Una roba indescrivibile». Il legale della famiglia Borsellino, ha anche spiegato che fu «Totò Riina a decidere la strategia di attacco con la costituzione della “supercosa” che vedeva coinvolti gli uomini che misero a punto le stragi tra cui Matteo Messina Denaro. Riina se ne assunse in proprio la responsabilità di via D’Amelio, si comportò da vero dittatore». Poi Trizzino, in una sorta di sfogo, ha riferito alla Commissione che ha iniziato a dedicarsi «a questo lavoro nel 2015 perché – ha sottolineato - fino al 2015 la famiglia si è tenuta lontana da queste carte. Noi non viviamo più. L’elaborazione del lutto è impossibile. Anche io faccio fatica emotivamente ad esprimere il tutto e mi sono imposto un certo rigore metodologico. È sugli atti che voglio essere contrastato. I familiari vogliono cercare la verità per una questione di dignità e di impegno. Le nuove generazioni della famiglia anziché cercare di vivere la propria vita, sono costrette a impegnarsi nella ricerca della verità che non è semplice. Ho un conflitto d’interesse di tipo emotivo. Lo ammetto». Per Trizzino è tutto legato al rapporto mafia e appalti. «Se ci hanno messo trent’anni per fare la Palermo-Messina, ai siciliani dico di leggersi il dossier perché lì c’è scritto tutto». (*Doc*)
GdS, 3/10/2023
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