La guerra è la cosa più insensata che l’uomo può fare. Oggi, nessuno di noi pensa alla guerra, se non con orrore, ma cento anni fa le cose erano molto diverse, nella forma almeno se non nella sostanza, infatti, c’era qualcuno che addirittura scriveva sull’Enciclopedia Italiana: “Il fascismo, non crede alla possibilità né all’utilità della pace perpetua. Respinge il pacifismo. Solo la guerra porta al massimo di tensione tutte le energie umane e imprime un sigillo di nobiltà ai popoli che hanno la virtù di affrontarla.” (da Fascismo di Marpicati, Mussolini e Volpe su Enciclopedia Italiana).
Quindi, cento anni fa, c’era chi aveva la guerra come valore e il pacifismo come vituperato disvalore, dimenticando, però, che per fare la guerra bisogna prepararsi e saperla fare. Indubbiamente ci furono campagne “eroiche” come la Marcia su Roma o la guerra d’Abissinia, più o meno come quando la nostra nazionale di calcio sfida la nazionale Maltese, ma la realtà dei fatti ha dimostrato che la retorica e le pompose parate servono solo ad impressionare e ad illudersi, non a vincere le guerre.
Perché parlare oggi della Regia Marina in guerra ottant’anni orsono? Forse perché il mondo non sembra avere imparato le lezioni impartite dalla storia, e noi italiani meno che mai. Pertanto potrebbe essere utile spendere qualche parola, non da esperto ma da profano con notizie facilmente reperibili in rete, senza la pretesa di voler aggiungere qualcosa ma solo per ricordare ciò che è successo alla migliore organizzazione bellica italiana, la più attrezzata, la meglio preparata, la più pronta: la Regia Marina.
Quando Hitler visita l’Italia nel 1938, Mussolini allestisce una parata impeccabile mostrando la potenza italiana con un esercito di sei milioni di baionette, i mezzi corazzati, l’aeronautica e, soprattutto, a Napoli lo fa assistere alle manovre di una flotta veramente potente ed abile. In effetti, da bravo politico italiano, bara, lo si vedrà l’anno dopo con l’invasione della Polonia quando dichiara la “Non Belligeranza”, un termine appena partorito dalla fervida italica fantasia, perché quell’esercito da parata non è assolutamente in grado di scendere in guerra, non ci sono mezzi, i magazzini sono vuoti, la preparazione è inadeguata, le forze corazzate sono costituite da unità molto leggere poiché non abbiamo acciaio, l’Aereonautica non è all’altezza delle altre nazioni, solo la Marina, la quinta al mondo, è pronta, è il nostro fiore all’occhiello e le altre nazioni lo sanno.
In base agli accordi di Washington del 1922, alla Regia Marina venne riconosciuta una flotta pari a quella francese ed inferiore solo a quella dell’Impero Britannico, degli USA e del Giappone. Negli anni ’30 venne, quindi, intrapreso un imponente programma di potenziamento della flotta che prevedeva l’ammodernamento di tre corazzate esistenti e la costruzione di altre quattro costosissime super-corazzate da primato, oltre a decine di incrociatori pesanti ed altre navi dalle prestazioni eccezionali quali gli incrociatori leggeri della classe “Capitani Romani” che sono, a tutt’oggi, le navi dislocanti più veloci in quanto raggiunsero alle prove a mare la velocità di 43 nodi (circa 80 Km/h). Mussolini poteva vantare le navi più veloci, quelle che tiravano più lontano, le più grandi e, perché no, le più belle!
La flotta era l’unica cosa veramente temuta dagli alleati, non solo per i mezzi ma anche per gli uomini, bene addestrati e motivati, comandati da ufficiali capaci e di esperienza. Ciò rende, a prima vista, incomprensibile il fallimento pressoché totale di questa macchina da guerra così bene organizzata che si rivelò essere, invece, un gigante dai piedi d’argilla.
I numeri sono impietosi, la nostra flotta non riuscì mai ad impegnare il nemico in una battaglia decisiva, solo in alcune occasioni riuscì a bloccare le squadre avversarie, in compenso, subì pesantissime perdite a Capo Matapan ed in porto a Taranto. Le uniche azioni di successo furono quelle con i mezzi d’attacco proditori come i Maiali (Siluri a Lenta Corsa) e i barchini esplosivi che, insieme ad episodi tanto eroici quanto ininfluenti ai fini della guerra, vengono citate per salvare l’onore nella sconfitta.
Ma perché è successo questo? Ed a noi oggi, cosa può importare della sorte della Regia Marina con tutti i problemi che abbiamo?
Le risposte alla prima domanda, automaticamente, ci fanno capire l’importanza degli insegnamenti da trarre per guidarci nella soluzione anche dei problemi attuali, quantomeno per evitare errori già fatti.
La Regia Marina, come è ormai notorio, soffrì di due mali principali: le scelte politiche sbagliate nella costituzione della flotta e l’immane sfortuna dovuta al fatto che gli inglesi si impadronirono di “Enigma”, il sistema di cifratura automatica dei tedeschi, per cui gli alleati erano in grado di intercettare e decifrare tutte le comunicazioni sorprendendo sempre gli italiani.
Ciò che condannò la flotta italiana furono, però, le scelte politiche basate su fini ideologici e di propaganda, oltre che di vanagloria personale del Duce, piuttosto che sulle reali esigenze della guerra moderna. Ad onor del vero, molti degli errori furono comuni a tutte le marine dell’epoca ma solo l’arroganza di un governo che non deve rispondere a nessuno, tranne che alla storia, poteva portare questi errori alle estreme conseguenze.
L’errore comune a tutte le marine fu quello di puntare, prima della guerra, sulla costruzione di grandi navi da battaglia potentemente armate con cannoni di grosso calibro ed in grado di sopraffare qualsiasi altro tipo di nave ma praticamente indifese agli attacchi aerei. Fin da subito, invece, fu chiaro che una potente flotta poco poteva contro gli attacchi dal cielo, per cui le navi che fecero la differenza furono le portaerei e non le corazzate.
Eppure, l’Italia dopo la Prima Guerra Mondiale non era certamente ultima nella ricerca anche in campo navale: nel 1927 entrò in servizio la porta idrovolanti Giuseppe Miraglia, nel 1936 il prof. Tiberio realizzava il primo “Radiotelemetro”, in pratica il RADAR, ma, in entrambi i casi, non incontrarono il favore né della Marina né, tantomeno, del Duce che definì il RADAR un’arma da codardi e le portaerei inutili perché l’intera Italia era una portaerei, quindi non c’era bisogno di costruirle, bastava coordinarsi con l’Aereonautica.
Di conseguenza, il governo, cioè Mussolini che aveva l’interim di quasi tutti i ministeri, costituì due enti supremi, Supermarina e Superaereo, che dovevano gestire tutte le operazioni di guerra, limitando di fatto l’autonomia non solo dei comandanti delle navi e delle squadre navali ma anche della stessa Marina.
I risultati si videro subito nello scontro di Punta Stilo, in Calabria, dove le squadre italiana ed inglese vennero in contatto ma si mantennero a distanza notevole scambiandosi reciprocamente colpi di artiglieria che andarono quasi tutti a vuoto. A questo punto, però, entrò in funzione il sistema di supporto aereo italiano: il comandante della squadra navale italiana manda un messaggio cifrato alla base navale di Messina con la posizione della flotta inglese, la base decifra il messaggio e lo invia, cifrandolo di nuovo, a Roma a Supermarina che lo decifra e lo ricodifica per inviarlo a Superaereo che ripete lo stesso procedimento per inviarlo sempre alla base, questa volta dell’aeronautica, di Messina che, dopo averlo decifrato, manda i bombardieri sulla flotta nemica. Peccato che col trascorrere del tempo, nella posizione segnalata non ci fosse più la flotta inglese ma quella italiana che venne bombardata dai nostri arerei, ovviamente senza essere colpita perché il bombardamento d’alta quota di una flotta equivale a sparare con un fucile da caccia per ammazzare le mosche, però alcune navi non riconobbero che gli aerei erano italiani e riuscirono ad abbatterne qualcuno. Se non ci fossero stati dei morti, la si potrebbe considerare una barzelletta.
Quando il prof. Tiberio presentò il suo “Radiotelemetro” alla Marina chiedendo poche lire per la ricerca, fu mandato a mani vuote perché giudicato inutile. L’utilità la si comprese cinque anni dopo al largo di Capo Matapan, in Grecia, quando la flotta inglese attaccò di notte la nostra squadra di incrociatori pesanti andati in soccorso del Pola che era rimasto bloccato. Secondo la nostra marina era impossibile attaccare di notte perché non si poteva vedere, peccato che gli inglesi “vedessero” attraverso quel RADAR che la Marina aveva giudicato inutile, ed affondarono l’intera squadra degli incrociatori.
Mussolini non volle costruire portaerei prima della guerra, salvo poi in tutta fretta convertire in portaerei il piroscafo “Roma” che non si riuscì a finire prima dell’armistizio, però la Marina le temeva e non faceva uscire le navi se in giro c’era una portaerei inglese. Questo non salvò la flotta perché gli inglesi, i primi di novembre del 1940, sferrarono un attacco con la portaerei “Illustrious” sulla base di Taranto decimando la nostra flotta inerme in porto.
Una cosa sorprendente è “l’efficacia” dell’arma voluta più fortemente da Mussolini: le potentissime supercorazzate classe Littorio. Queste erano temutissime dalla marina inglese perché, oltre che potentemente corazzate e dotate di sistemi di protezione dai siluri (tubi Pugliese) e di puntamento molto sofisticati realizzati dalla Galileo, erano armate con 9 modernissimi cannoni OTO/Ansaldo da 381/50 in grado di sparare proietti da 900 Kg a 45 Km di distanza. Queste caratteristiche le rendevano delle formidabili macchine da guerra che, però, in tutto l’arco del loro impiego in guerra, pur avendo sparato circa 3.500 colpi, non riuscirono a centrare mai nulla.
Il perché è piuttosto semplice da capire, innanzitutto, già in fase di progetto, venne sacrificata la precisione di tiro alla gittata, per cui si comprende come mai gli analoghi cannoni della Bismarck avessero una gittata di ben 10 Km inferiore (loro però gli obiettivi li centravano!). Spesso averlo più lungo, il tiro, non serve a granché! A complicare la vita di questi cannoni intervenne pure l’endemica carenza di materie prime di cui soffre tutt’oggi l’Italia, questo si tradusse nel fatto che le cariche esplosive non riuscivano quasi mai ad essere identiche ma variavano nella qualità dei componenti, così ogni esplosione era diversa dall’altra in modo assolutamente casuale. Infine, a completare il quadro, avvenne un fatto squisitamente italiano: l’appalto per la realizzazione dei proietti, cioè di ciò che veniva lanciato dai cannoni, fu assegnato ad una ditta vicina ad uno dei gerarchi fascisti che, però, non era in grado di lavorarli con la precisione richiesta, pertanto, il ministro emise un decreto che elevava la tolleranza sui proietti in modo che quelli costruiti da tale ditta divenissero, improvvisamente, accettabili.
Cosa ha comportato tutto ciò? Che ad ogni colpo di cannone nessuno sapeva quale era la carica ed il peso del proietto, quindi, quando facevano la cosiddetta “forchetta” (tiro lungo - tiro corto) per inquadrare il bersaglio, non c’era nessuna certezza che il tiro intermedio colpisse il bersaglio, cosa che, in effetti, non avvenne mai!
Se leggiamo qualunque articolo o libro sulla Regia Marina, troveremo scritto che l’onore fu salvato da episodi eroici di comandanti e marinai, e questo è vero ed è doveroso ricordarli, ma, come disse Bertolt Brecht, “Sventurata la terra che ha bisogno di eroi” perché quando c’è bisogno degli eroi allora vuol dire che le persone normali non bastano o non sono all’altezza.
La tristezza viene nel constatare a quali mete altissime potrebbe mirare la nostra Italia se solo fosse stato dato spazio sufficiente agli eroi che si sacrificano per gli altri o alle persone d’ingegno invece che ai meschini arroganti che sacrificano gli altri al proprio interesse. Proprio per questo è doveroso citare qualche esempio di ciò che gli uomini della Regia Marina furono in grado di fare.
Dobbiamo partire dalle azioni della X MAS di Junio Valerio Borghese a cui si deve l’affondamento di due corazzate e una petroliera grazie a sei veri e propri eroi sconsiderati (Luigi Duran de la Penne, Emilio Bianchi, Vincenzo Martellotta, Mario Marino, Antonio Marceglia e Spartaco Schergat) che hanno portato i loro siluri sotto le navi, navigando in immersione a cavallo delle cariche esplosive, e, dopo catturati, hanno comunicato quali navi dovevano saltare in aria in modo che si potessero mettere in salvo tutti i marinai imbarcati. Nella baia di Suda (Creta) sei barchini esplosivi, pilotati da Luigi Faggioni, Angelo Cabrini, Alessio De Vito, Tullio Tedeschi, Lino Beccati, ed Emilio Barberi, affondarono un incrociatore pesante ed una petroliera. L’attacco veniva fatto conducendo il barchino colmo di esplosivo a tutta velocità fin sotto la nave sotto il fuoco delle armi di bordo nemiche, all’ultimo momento veniva azionato il seggiolino eiettabile e, se andava bene, si finiva in acqua prima dell’esplosione.
Corre l’obbligo di citare anche le azioni delle medaglie d’Oro Francesco Mimbelli e Giuseppe Cigala Fulgosi, comandanti rispettivamente delle piccole torpediniere Lupo e Sagittario, che da soli affrontarono delle squadre navali composte da incrociatori e cacciatorpediniere inglesi per proteggere i convogli di mercantili, in entrambi i casi, dopo aver steso cortine fumogene a protezione delle navi mercantili del convoglio, si sono lanciate, sbucando improvvisamente dalla nebbia, contro le formazioni nemiche continuando a puntare contro di loro sotto il fuoco di cannoni molto più potenti, fu tale la sorpresa che in alcuni casi le navi inglesi si spararono l’una contro l’altra. In entrambi i casi salvarono tutti i mercantili.
Un’ultima citazione, che non può non essere fatta, è per Salvatore Todaro, il comandante del sommergibile Cappellini che operava in Atlantico. Il 16 ottobre 1940 avvista un cargo armato al largo di Madeira, il belga Kabalo, parte all’attacco e lancia tre siluri che, come purtroppo avveniva quasi sempre con i siluri italiani, fanno tutti e tre cilecca, a questo punto emerge, rischiando il fuoco avversario, e fa fuoco col cannone di bordo fino ad affondarlo. Immediatamente dopo si accosta al relitto per salvare i naufraghi che avevano avuto tutto il tempo di mettersi in salvo sulle scialuppe, a questo punto si accorge, però, che sono in troppi e decide di prendere a rimorchio le scialuppe per portare i naufraghi alle Azzorre, così facendo, però, dovrà fare centinaia di miglia in emersione alla mercè degli attacchi aerei alleati. Durante la notte il cavo di traino si spezza e perde le scialuppe, quando se ne accorge, inverte immediatamente la rotta alla ricerca delle scialuppe, trovatele, non gli resta che stipare a bordo tutti i naufraghi, alcuni dentro lo scafo, altri all’esterno, rischiando di non potersi immergere per sfuggire ad eventuali attacchi aerei o navali. Dopo tre giorni di navigazione impossibile, riesce a raggiungere le Azzorre a mettere in salvo tutti quanti. Al suo ritorno a Betasom il grandammiraglio Karl Dönitz lo criticò severamente: “Neppure il buon samaritano della parabola evangelica avrebbe fatto una cosa del genere”, “questa è una guerra e non una crociata missionaria”, si racconta che il comandante Todaro avesse replicato: “Gli altri non hanno, come me, duemila anni di civiltà sulle spalle”.
Questi episodi potrebbero indurci a cadere nel luogo comune degli “Italiani brava gente”, non è così, purtroppo gli italiani in guerra furono feroci al pari di tutti gli altri, questo falso mito vuole assolverci dal crimine di avere scatenato una guerra inutile e scriteriata. Così come questi atti di eroismo vengono sempre riproposti per assolvere chi ha voluto una guerra che non seppe preparare né, tantomeno, condurre e tanti altri che cercarono di lucrare denaro e potere a danno della Patria e dei combattenti. Indubbiamente questi eroi lo furono a 360°, tanto sprezzanti del pericolo in battaglia quanto umani e generosi nel soccorrere il nemico sconfitto, ma queste sono solo eccezioni, accompagnate, comunque, da una grandissima massa di soldati e marinai che fecero il loro dovere fino in fondo, fino al sacrificio della vita, al contrario dello stato maggiore, del governo e del re che conclusero quella disonorevole guerra, da loro voluta, con una fuga ignominiosa. L’atto finale fu costituito dall’ultimo “assalto alla baionetta” del regio Esercito, non fatto da soldati armati di baionetta contro al nemico ma dal tragicomico assalto di circa 250 fra ufficiali e loro familiari che cercavano di imbarcarsi sulla corvetta “Baionetta” con la quale stava fuggendo il re.
Contemporaneamente, l’intera flotta italiana si consegnava agli alleati a Malta, in ossequio agli ordini del re e ai termini dell’armistizio (che però, letto in inglese, diventa “resa incondizionata”), non senza l’ultima immane tragedia, l’affondamento della nave ammiraglia della flotta, la corazzata “Roma”, la più bella e potente nave da guerra che l’Italia abbia mai avuto, che affondò portandosi con se 1.300 uomini insieme al comandante della flotta Bergamini, il Roma fu la prima nave a sperimentare l’ultima invenzione del genio militare tedesco, la bomba telecomandata, l’antesignana dei missili antinave.
Non c’è nulla di bello o di eroico in una guerra, per l’Italia ci fu pure molto di umiliante ed ignominioso in una sconfitta totale sancita da una resa incondizionata e seguita dalla distruzione sistematica di tutto il territorio da parte di due eserciti invasori a cui i governanti italiani avevano inopinatamente spalancato le porte di casa.
È facile auto proclamarsi comandante in capo, Duce, è facile dire di essere il capo dello stato per virtù divina e poi dimostrarsi incapaci del ruolo, prima, e di assumersi le responsabilità, dopo. Altri, in altri paesi, si sono comportati diversamente, il sovrano inglese rimase a fianco dei londinesi sotto i bombardamenti, le figlie facevano le crocerossine negli ospedali. Anche oggi c’è chi si nasconde nei palazzi dorati e chi non teme le bombe, come c’è chi parla e fa proclami e poi si dimostra incapace e irresponsabile.
La storia è maestra di vita, dovrebbe avere più spazio nelle nostre scuole per non ripetere le tragedie del passato, perché come disse Socrate “Esiste un solo bene, la conoscenza, ed un solo male, l'ignoranza.”
SALVATORE VACANTE
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