L’albero d’olivo in memoria di Mico Geraci piantumato ieri nei giardini dell’Assenblea Regionale Siciliana
GIUSEPPE LUMIA
La sera dell’8 ottobre 1998, a soli 44 anni, fu ucciso Mico Geraci, sindacalista e politico, sposato e padre di tre figli.
Sognava e operava. Credeva nel cambiamento e nella liberazione dalla mafia della sua comunità. Si sentiva pronto a promuovere un progetto di legalità e sviluppo per Caccamo, era maturo per guidarla da sindaco. Intorno a lui si era creata una vasta convergenza, che poteva tradurre il progetto di un’altra Caccamo.
Sapeva bene quali erano le sue potenzialità, nell’agricoltura, nel settore dell’allevamento, nell’artigianato, nel commercio e nel turismo.
Conosceva bene le virtù imprenditoriali degli operatori economici e pensava fosse giunto il momento per dare a Caccamo un respiro europeo e renderla ancora più accogliente e laboriosa.
Desiderava ardentemente giustizia, uguaglianza e solidarietà ma era veramente consapevole che il macigno della mafia poteva bloccare tutto. Ne parlavamo spesso. Tante volte abbiamo analizzato e sviscerato il contesto su cui costruire e condividere una idea-progetto. A un certo punto gli era scattata la molla, quella molla che nessuno avrebbe potuto inceppare: voleva rompere gli indugi e costruire e organizzare la speranza di una nuova Caccamo!
A ogni incontro per elaborare in modo partecipato il programma elettorale, si sentiva nell’aria che un percorso di riscatto era possibile. Giovani e adulti insieme, professionisti e associazioni aumentavano a ogni riunione. Il fervore si respirava e contagiava, la motivazione saliva e la rotta su cui indirizzare il cammino era sempre più chiara.
Anche la mafia di Caccamo aveva capito che per la prima volta erano in serio pericolo la sua egemonia, il suo antico radicamento nella società e nella politica, capillare, ossessivo, soffocante, in grado di spazzare via qualunque anelito di resistenza.
Nei primi anni Sessanta, questo potere lo aveva messo in discussione la valorosa, colta e pasionaria Vera Pegna che, giovanissima, sfidò la potentissima mafia di don Peppino Panzeca. Ma la comunità non la seguì, in parte per paura, in parte perché diffusamente collusa e il cerchio della sopraffazione mafiosa si era richiuso.
Mico Geraci, insieme all’altro valoroso suo alleato, Francesco Dolce, aveva preso le misure giuste per non farsi isolare o intimidire e per rendere maggioritario il progetto elettorale.
Alcuni mesi prima dell’omicidio, ci fu un banco di prova. Prima dell’estate si era consumata una grande operazione antimafia della DDA di Palermo e a luglio organizzammo una iniziativa inedita per la lotta alla mafia. Non si poteva più delegare e aspettare. Quel giorno, per allontanare i rischi, mi assunsi io il compito di fare nomi e cognomi dei boss e dei collusi, come avevo scelto di fare nel territorio. Mico Geraci spiegò in quali interessi la mafia era presente e su quali obiettivi concreti lavorare per liberarsene definitivamente. In quel pomeriggio si scontrarono l’aria calda del cambiamento e l’aria fredda della minaccia mafiosa. O vinceva l’antimafia e il suo percorso di emancipazione o si riaffermava la mafia con il suo sistema di collusione: un’altra strada non era più possibile. Non era più tempo di accomodamenti e mezze vie.
Fu così che la mafia decise di colpire Mico Geraci alle spalle. Fu così che la mafia di Caccamo sventolò la sua antica bandiera per puntare alla scalata ai vertici di cosa nostra nella provincia di Palermo e addirittura in Sicilia.
Sono passati 25 anni, ma quel modello di legalità e sviluppo rimane valido, per la capacità di cambiamento e partecipazione popolare è ancora attuale. Quel lavoro culturale, educativo e politico splende ancora, come un gioiello che va ripulito ed esposto alla luce del sole.
Il pentito Giuffrè ha spiegato bene il contesto in cui maturò la decisione di cosa nostra, ma non basta. È necessario, come richiede il codice, avere altri elementi di prova. La verità giudiziaria non si è ancora affermata. In Commissione antimafia si sono scritte parole chiare e nette, che sono riportate nella relazione sull’omicidio di Mico Geraci, a cui non è mancato il mio contributo particolarmente significativo, vista la mia amicizia con Mico e il mio ruolo di guida per l’antimafia in quel territorio.
Quell’idea progetto ha bisogno di una nuova generazione che senta dentro il desiderio di fare di Caccamo una città finalmente libera dalla mafia.
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