L'arcivescovo Renna si dice «fiero» che la sentenza che ha smontato il decreto Cutro sia stata decisa nella sua città, Catania
GIORGIO MANNINO
«Sono orgoglioso che la sentenza che ha disapplicato il decreto Cutro sia stata pronunciata dal tribunale di Catania». Monsignor Luigi Renna, arcivescovo della città etnea, non ha dubbi nel definire la sentenza del giudice Iolanda Apostolico «molto importante».
Monsignore come mai si definisce orgoglioso di quanto deciso dal tribunale che di fatto ha sconfessato il governo sulle politiche migratorie?
Premetto che non conosco il giudice, ma la sentenza parla chiaro. Si legge di persone sfruttate per le loro caratteristiche fisiche o perseguitate dai parenti. Non sono motivazioni risibili. Non si scrivono sentenze per partito preso.
Eppure il governo con la premier Meloni e il suo vice Matteo Salvini ha innescato una dura offensiva nei confronti del giudice Apostolico.
Chi amministra un paese dovrebbe rispettare la distinzione dei poteri.
In uno stato democratico questo attacco frontale alla magistratura non dovrebbe verificarsi. Bisogna mantenere i toni pacati. Forse qualcuno non ha letto bene la sentenza. Mi creda. Se chi ha avuto da ridire l'avesse realmente letta forse non l'avrebbe criticata così duramente.Ma è proprio sui migranti che il governo gioca la sua partita politica e di consenso.
L'opinione pubblica se non è informata rischia di pensare non con la propria testa, ma con la pancia. In Italia la disinformazione regna sovrana e quando determinate idee vengono agitate dal punto di vista politico ho dubbi che si voglia raccontare la verità. Si prova a inculcare le proprie idee ad un elettorato disinformato.
Centri per il rimpatrio, indagini antropometriche per individuare l'età, il pagamento di 5 mila euro per evitare i Cpr. Secondo lei il governo come sta affrontando il tema dell'emergenza migranti?
Bisognerebbe prima rendersi conto se questi decreti vanno contro i diritti garantiti dalla nostra Costituzione e quelli sanciti a livello europeo. Il governo fa decreti legge e solo dopo si rende conto se sono applicabili o meno, se una cauzione può essere pagata o no? Credo non sia questa la strada da seguire.
Qual è la soluzione?
Penso ai corridoi umanitari. Questa è la via maestra. Avere un Piano Mattei per i paesi africani può essere un'iniziativa percorribile ma richiede troppo tempo e finora non abbiamo visto nulla di concreto. Non dobbiamo negare a queste persone la libertà di rimanere nel proprio paese. O, se ci sono motivi cogenti, di poterlo lasciare. È un diritto umano fondamentale e inviolabile.
Gli accordi con la Tunisia, il memorandum con la Libia nel 2017, la convincono?
Credo sia importante capire quanto siano davvero efficaci gli accordi con la Tunisia perché le maglie sono troppe larghe e le organizzazioni criminali hanno gioco facile. Serve un'analisi più attenta di quanto accade in Libia e in Tunisia. Questo deve portare ad una legislazione che non permetta che queste persone vengano ricacciate nei luoghi dove li aspetta spesso la morte.
Poi ritengo sia urgente rivedere gli accordi con la Libia. L'inferno delle carceri è sotto gli occhi di tutti. Ci troviamo difronte a paesi che hanno una grande complessità e criticità dal punto di vista democratico. Il problema non è di facile soluzione e non getto la croce su un solo governo. Ma non si può parlare di un Piano Mattei se prima non si cancella una prassi che si è rivelata fallimentare.
Perché, secondo lei, il governo ostacola l'impegno delle Ong?
Perché vanno oltre gli schemi politici, con un unico nobile obiettivo: salvare le persone. Fanno il loro dovere di esseri umani che hanno a cuore i diritti dell'umanità. Questo, oggi, può risultare scomodo.
È d'accordo con l'arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice che, in occasione del ricordo della strage di Lampedusa, ha parlato di «stato assente che preferisce occuparsi di un giudice che ha fatto il suo lavoro»?
Certamente. Non basta essere presenti nel celebrare, nel ricordare o nell'ispezionare certi luoghi. Bisogna impegnarsi perché certe condizioni non ci siano più. La verità è che le soluzioni sono inadeguate.
Se rimaniamo fermi agli accordi con la Libia, lo Stato non sarà solo assente a Lampedusa ma su tutte le coste dove approdano queste persone. Ma mi faccia dire una cosa: il problema non è solo di questo governo, altri governi avrebbero dovuto mettere mano ad alcune leggi ma non l'hanno fatto.
Anche l'Europa rimane a guardare. Che fine hanno fatto gli ideali che hanno animato il processo di nascita dell'Unione europea?
Le rispondo citando l'ultima enciclica di Papa Francesco, dove vengono criticati i governi tecnocratici. Molti paesi europei guardano a questo modello, alle élite, a esecutivi con al centro una persona forte che dovrebbe risolvere da sola problemi complessi. L'Europa non può pensarsi come terra privilegiata.
Il sogno di una grande Europa non è solo quello di un continente unito, ma di una Ue che torni a contare nel mondo capace di far convivere democraticamente popoli diversi.
Domani.it, 7 ottobre 2023
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