Vito Lo Monaco |
Insignito della laurea honoris causa in Scienze della comunicazione, parla un protagonista del Pci e delle battaglie per i diritti dei contadini: “Con il Centro La Torre facciamo corsi di educazione civica per tante scuole. Gli studenti ripudiano Cosa nostra ma non si fidano dei partiti. Abbiamo una classe politica che non ha visione del futuro, sia a destra sia a sinistra. I vescovi? Presentano un Vangelo in accordo con la Costituzione”
di Gioacchino Amato
«Compirò 80 anni nel prossimo febbraio, ma questa laurea honoris causa non la considero una buonuscita. Anzi è uno stimolo a continuare il mio lavoro da presidente emerito del Centro Pio La Torre affiancando le nuove energie dei giovani che portano avanti i progetti di educazione civica, che è e rimane la vera antimafia». Vito Lo Monaco, protagonista fin da ragazzo della storia del Partito comunista, delle lotte contadine e contro la mafia fino al movimento pacifista quando a Comiso arrivarono i missili Cruise, di andare in pensione non ci pensa neanche. Venerdì allo Steri ha ricevuto dal rettore
dell’Università di Palermo, Massimo Midiri, la laurea honoris causa in Scienze della comunicazione pubblica, d’impresa e pubblicità. La sua lectio magistralissi intitolava “La coscienza civile è necessaria per sconfiggere le mafie: la scuola ha il dovere di formare cittadini onesti e solidali”.Un riconoscimento ai suoi progetti antimafia nelle scuole?
«Il problema della mafia rimane il suo rapporto con la politica e con l’imprenditoria. Spara di meno ma fa più affari, e lo fa grazie al consenso silenzioso. Per questo i corsi per le scuole sono così importanti: aiutano a formare una coscienza antimafia nei giovani. Durante la pandemia abbiamo coinvolto fino a 300 istituti in contemporanea, migliaia di studenti. E dopo, dai questionari che gli sottoponiamo, emerge il ripudio totale della mafia. Ma se gli chiediamo in quali istituzioni hanno fiducia, i ragazzi indicano la scuola, la magistratura, le forze dell’ordine, molto meno la famiglia e in coda la politica. Questo deve fare riflettere».
Un giudizio duro, quello dei ragazzi. Somiglia al suo?
«Siamo davanti a una classe politica debole che non ha visione del futuro, a destra come a sinistra, anche se questo non significa che siano uguali. La politica affronta i problemi solo in termini di poltrone da occupare, come sta avvenendo per la sanità, e non affronta la questione morale.
Non basta, per un politico condannato per mafia come Cuffaro, dire: “Ho espiato la mia pena e adesso torno in politica”. C’è un giudizio etico che non viene cancellato. Non basta la scuola, tutta la società deve schierarsi».
Che fare?
«La mafia non è un’emergenza, non si può affrontare come tale e neanche con le passerelle negli anniversari.
Quello è un modo per mettersi la coscienza a posto, come gli allarmi sul pericolo che la mafia metta le mani sui soldi del Pnrr. Se si lanciano allarmi e poi si esalta il subappalto, che è il brodo di coltura dell’infiltrazione mafiosa nei lavori pubblici, non ci siamo. Si stanno allentando i controlli antimafia, con la scusa di velocizzare gli appalti, invece di intervenire sulla capacità di spesa e sulla competenza della burocrazia. Tutti si dichiarano antimafiosi, compresi i mafiosi, maper il resto di mafia non si parla. Avete visto un dibattito all’Ars su questo tema, anniversari a parte?».
A proposito di anniversari, il 23 maggio si è aperta una spaccatura profonda nell’antimafia, con tanto di cariche della polizia. Che ne dice?
«Il torto non è stato di chi ha voluto manifestare pacificamente in nome di un’antimafia concreta. Lo sbaglio è stato bloccare quel corteo che si batteva — come Girolamo Li Causi, Pio La Torre e Piersanti Mattarella — per spezzare il rapporto fra mafia epolitica. Un grave errore, se guardiamo a come è finita l’antimafia di cartone di chi si diceva più antimafioso di tutti per fare carriera.
La vera antimafia è combattere le disuguaglianze, impedire che la mafia diventi welfare in alcuni quartieri, come è accaduto durante la pandemia. Altro che togliere il reddito di cittadinanza».
Nel 1982 la prima marcia antimafia nel “triangolo della morte”, fra Bagheria, Casteldaccia e Altavilla Milicia. Dopo trent’anni ci siete tornati. Cosa è cambiato?
«La consapevolezza dei giovani nei confronti del problema che li tocca da vicino. Il crack è a Ballarò come a Casteldaccia, ed è una faccia della mafia e del degrado che la alimenta».
All’Ars invece è arrivata la cocaina, ha visto?
«Una cosa gravissima. E ancora peggio è stato sentire un politico come Miccichè, un uomo delle istituzioni, dire che questo è un suo fatto personale. Anche per questo i giovani non hanno fiducia nella classe politica locale».
Nel vuoto della politica, in Sicilia a prendere posizione su molti temi sono i vescovi, la Chiesa. Sono loro la vera opposizione?
«I vescovi non fanno politica ma presentano un Vangelo che va d’accordo con la Costituzione. Io, che sono laico ma ho molti amici preti come Cosimo Scordato, gli dico sempre che papa Francesco è molto più a sinistra di tanti politici di sinistra. Non per scelta politica ma culturale, riscopre il Vangelo nelle sue origini di strumento di libertà ed emancipazione dei più poveri e dei più deboli della società. Questo si lega con l’ideale della sinistra marxista, ma anche riformista, che è quello di eliminare le diseguaglianze per essere tutti più liberi».
Con l’arresto e la morte di Matteo Messina Denaro è cambiato qualcosa nella mafia?
«La sua storia dimostra il passaggio dalla mafia stragista a quella affarista. Il suo arresto è stato un successo: non è vero che si è consegnato, quella è una menzogna messa in giro dai suoi amici. Ma dopo l’arresto e la morte del boss continua a mancare un tassello: la posizione chiara della politica sulla lotta alla mafia».
È la chiave di tutto?
«L’ho vissuto direttamente quando, appena diplomato, nel 1962 aprii la sezione del Pci a Casteldaccia intitolandola ad Andrea Raia, segretario della Camera del lavoro ucciso nel 1944. Fu il primo omicidio politico-mafioso. E non è un caso che lo stesso termine — “delitto politico-mafioso” — lo scrissi io per la prima volta, d’accordo con Enrico Berlinguer, nel comunicato del Pci siciliano sull’uccisione di Pio La Torre, nel 1982».
C’è una speranza di liberarci dalla mafia?
«Senza retorica, la speranza sono i nostri giovani».
La Repubblica Palermo, 23/10/2023
Nessun commento:
Posta un commento