Il miliare romano dopo la “pulizia”
DINO PATERNOSTRO
Era da più di 20 anni che a Corleone non si organizzavano più convegni di archeologia dei livelli di quello di sabato scorso. Merito della d.ssa Francesca Spatafora (e del sindaco Nicolosi che l’ha nominata consulente alla cultura), che, grazie alle sue indubbie competenze e alle relazioni costruite in anni di attività ad alto livello, ha chiamato a raccolta a Corleone personaggi come Jonathan Prag, Carmine Ampolo, Ferdinando Maurici, Cecilia Parra, Stefano Vassallo ed altri giovani studiosi impegnati in interessanti ricerche sulla nostra area territoriale.
In una giornata di studi molto intensa, sono venuti fuori gli intrecci storici, politici ed economici che hanno determinato le grandi vie di comunicazione in Sicilia, ed in particolare la strada consolare romana Akragas - Panormus, lungo la quale (in contrada Zuccarrone, Corleone) 70 anni fa è stato rinvenuto il miliare romano del console Caio Aurelio Cotta. E poi le altre emergenze archeologiche di Montagna Vecchia, dove sicuramente vi sono tracce di un’antica città con una imponente cinta muraria.
Alla fine degli novanta del ‘900 furono fatte delle interessanti ricerche di superficie dalla sezione dell’Archeo Club di Corleone, guidata da Angelo Vintaloro ed Alberto Scuderi. Poi più niente. Non si è riusciti a far “adottare” quest’area archeologica ad una Universitá italiana o straniera per una metodica e scientifica campagna di scavi, in grado di rivelarci i “segreti” della Vecchia.
Adesso speriamo vi sia la tanto auspicata inversione di rotta. L’hanno auspicata il sindaco Nicolò Nicolosi, il soprintendente del mare Ferdinando Maurici, la d.ssa Francesca Spatafora. Che sia la volta buona?
Intanto, buon 70mo al nostro miliare romano, l’unico rinvenuto in Sicilia, scritto in latino arcaico (una chicca per gli appassionati del latino antico), posto a 57 miglia da Agrigento, istallato nel 252 a.C., che celebra un console romano importante come Caio Aurelio Cotta. È stato messo a nuovo da un’accurata operazione di pulitura, che ne esalta le incisioni.
Grazie, ai romani che ve l’hanno collocato; alla nostra madre terra che l’ha custodito per più di due millenni; al contadino corleonese Saltaformaggio, che l’ha ritrovato nell’ottobre del 1953, informandone un uomo di vasta cultura come il prof. Vincenzo Mancuso; grazie al prof. Mancuso che ha compreso il valore archeologico del reperto, scrivendo un saggio nel 1955; grazie al giovanissimo amante dell’archeologia Giovanni Valenti, che l’ha trasportato a Villa Belvedere; grazie alla sua famiglia che l’ha custodito in tempi in cui la normativa e le strutture del comune di Corleone erano inadeguate; grazie ad Angelo Vintaloro ed Alberto Scuderi che nei primi anni ‘90 si sino adoperati per recuperarlo e farne il primo e più prezioso reperto del museo civico “Pippo Rizzo”; grazie agli amministratori comunali che negli anni si sono adoperati per valorizzarlo; e grazie, Infine, a Claudio Di Palermo e a Pietro Di Miceli del Cidma, che tanto si sono adoperati per organizzare al meglio il 70 anniversario del nostro miliare.
P. S. Adesso bisogna smetterla con le stupide polemiche sulle primogeniture e remare tutti nella stessa direzione: la valorizzazione del miliare, che potrebbe diventare una sorta di “satiro danzante” di Corleone; e l’attivazione di una metodica e scientifica campagna di scavi archeologici nel territorio di Corleone, sotto l’egida della Soprintendenza e con l’impegno di una università italiana o straniera.
Dino Paternostro
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