Il prof. Giuseppe Savagnone
di Salvo Palazzolo
«In questo momento, nella Chiesa c’è una forte spaccatura — non usa mezzi termini il professore Giuseppe Savagnone, cattolico impegnato, da sempre in prima linea sul fronte del rinnovamento in Sicilia — sono le idee di futuro espresse da papa Francesco a dividere. Sul modo di concepire la prospettiva e lo stile ecclesiale, sull’accoglienza ai migranti, sulla politica che dovrebbe rispondere ai bisogni reali delle persone. C’è una parte della Chiesa che non vuole accettare il cambiamento».
Nei giorni scorsi la Chiesa siciliana si è divisa sull’operato del governo regionale rispetto al tema della prevenzione degli incendi, mentre da tempo i vescovi più legati a Bergoglio, a cominciare da Lorefice e Renna a Palermo e a Catania, sferzano la politica su vari temi.
Negli ultimi trent’anni la Chiesa non è mai stata così invisa al potere. Cosa sta accadendo?
«È indiscutibile la divergenza tra papa Francesco e la linea del governo nazionale, che fa della questione dei migranti un problema di difesa delle frontiere. Il punto di vista di Bergoglio è dichiaratamente opposto, e lui non si è mai curato di nasconderlo. Sin dal tempo del viaggio a Lampedusa. Una divergenza che c’è anche con la posizione dei partiti della destra, a livello nazionale e conseguentemente anche in Sicilia.
D’altro canto, i cattolici non possono riconoscersi neppure nella linea della sinistra, che ormai da tempo ha messo in ombra la questione della giustizia sociale e si è concentrata sulla rivendicazione dei diritti individuali, una linea che in realtà ha la sua matrice nella tradizione di destra, quella liberal-radicale, ed è estranea sia alla matrice socialista che a quella cattolica».
Quanto è invisa la Chiesa ai politici siciliani?
«La Chiesa siciliana è scomoda in alcune sue frange. Non possiamo negare che c’è invece una Chiesa molto acquiescente. Mi riferisco ai tanti cattolici che al Nord come in Sicilia hanno sposato le posizioni di rifiuto sui migranti sostenute dalla destra o hanno assimilato la logica dell’individualismo della sinistra. Ci sono anche tanti credenti che con la loro indifferenza si adeguano a una politica clientelare che è ancora molto diffusa nell’Isola».
Sta dicendo che la Chiesa siciliana non ha ancora accolto il messaggio di don Pino Puglisi?
«Trent’anni dopo il delitto del parroco di Brancaccio fatto beato, non ci sono più, per fortuna, quei rapporti fra Chiesa e mafia che nel passato avevano portato ad atteggiamenti fortemente ambigui e addirittura alla legittimazione dei mafiosi. Ma ho l’impressione che ancora la Chiesa di Palermo non sia riuscita a maturare una coscienza diffusa di cos’è davvero il fenomeno mafioso, nelle sue relazioni con la società e la politica».
Eppure l’arcivescovo Lorefice non
smette di ribadire alcuni concetti.
«Il nostro vescovo lancia messaggi importanti, bisogna dargliene atto.
Ma non bastano i messaggi: bisognerebbe che ci fosse un rinnovamento della comunità ecclesiale nel suo insieme, che poi diventasse rinnovamento della coscienza civile di tutta la comunità. È questa operazione di rinnovamento che stento molto a vedere nella Chiesa palermitana, e forse anche in quella siciliana».
Cosa accade davvero nelle
parrocchie?
«È lì che spesso è assente o insufficiente l’impegno capillare di formazione di una sana coscienza civile e politica. Si dice che la politica non deve entrare in chiesa. Ma quello che dovrebbe restare fuori dal tempio è il volantinaggio partitico: è giusto non permettere a un partito di strumentalizzare la fede. C’è però una politica che il cristiano ha il diritto e il dovere di fare, quella volta al bene comune, e di essa si deve discutere nelle nostre comunitàecclesiali, alla luce dell’insegnamento sociale della Chiesa. E questa non solo sarebbe opportuno, ma necessario, farla rivivere perché i cristiani abbiano un ruolo reale nella società».
Eppure, in Sicilia, le realtà cattoliche sono molto impegnate nel sociale. Non dovrebbe essere questo il segno del rinnovamento?
«È un impegno meritorio, di cui non tengono conto tanti che vedono solo gli errori e le colpe degli uomini della Chiesa. Ma non basta un’incidenza sulla vita sociale: bisognerebbe averla anche sulla vita politica, per intervenire nel dibattito pubblico con posizioni alternative a quelle di una destra e di una sinistra entrambe lontane dalla prospettiva cristiana».
L’ha sorpresa il pizzino in cui il boss Messina Denaro parlava del suo Dio e rifiutava la Chiesa di oggi?
«Direi che mi ha rallegrato leggere una tale presa di posizione contro la Chiesa. Le parole del mafioso responsabile delle stragi del 1992-93 segnano uno spartiacque: d’ora in poi sarà più chiaro che l’ambigua convivenza fra la Chiesa e la mafia, che nel passato innegabilmente a volte c’è stata, è ormai dietro le nostre spalle. Perché la mafia è essenzialmente anticristiana. L’unico Dio del mafioso è il potere».
Torniamo a papa Francesco. Il pontefice viene accusato da alcuni ambienti ecclesiali di stravolgere la tradizione della Chiesa. Cosa ne pensa?
«Il concetto di tradizione non comporta il restare legati al passato. È piuttosto la capacità di partire dalle risorse del passato per costruire il presente e progettare il futuro. La tradizione è una continua tensione al rinnovamento, così com’è stato sempre nella Chiesa, che altrimenti sarebbe ferma all’uso della lingua aramaica della comunità primitiva.
La Chiesa è cambiata tante volte, e così dev’essere; quello che conta è un’anima di continuità».
Una Chiesa che divide e guarda agli ultimi, una Chiesa che scuote la politica. Eppure la religione viene posta a vessillo di dichiarazioni politiche e di slogan elettorali.
«È proprio così. Continuamente i rappresentanti del governo si professano cristiani, ricordo Salvini che sbandierava il Vangelo. Ma sono le parole del Vangelo a giudicarli: e là c’è scritto che, nei migranti, loro respingono Gesù. Matteo, capitolo 25: “Ero straniero e mi avete accolto”».
La Repubblica Palermo, 1 ottobre 2023
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