di Salvo Palazzolo
Era stato arrestato il 16 gennaio scorso dai carabinieri del Ros a Palermo, mentre stava andando a fare chemioterapia in una clinica privata. Un pizzino con il suo diario clinico, trovato nella casa della sorella, aveva segnato la svolta per la cattura. E’ sempre rimasto un irriducibile, conosceva i segreti delle stragi e delle complicità eccellenti
La malattia l’ha sopraffatto. Matteo Messina Denaro, l’ultimo boss delle stragi arrestato dai carabinieri del Ros il 16 gennaio scorso a Palermo, è stato stroncato dal tumore che nel 2020 gli aveva fatto cambiare radicalmente la sua latitanza ormai trentennale. Il 61enne capomafia trapanese è morto nell’ospedale San Salvatore dell’Aquila, dove era stato ricoverato l’8 agosto per un intervento;
ad inizio settembre era stato trasferito dalla terapia intensiva al reparto detenuti allestito all’interno del nosocomio, fra imponenti misure di sicurezza. Ed era iniziata la somministrazione di una cura del dolore, per far fronte ai pesanti effetti del tumore. All’Aquila, sono arrivati la figlia di Messina Denaro, Lorenza (che il boss ha riconosciuto, dandole il proprio cognome), la nipote avvocata Lorenza Guttadauro e una delle sorelle, Giovanna.Venerdì scorso il capomafia condannato all’ergastolo è entrato in coma, ritenuto ormai irreversibile: come lui stesso aveva stabilito nel testamento biologico, gli è stata staccata l’alimentazione, non l’idratazione. Messina Denaro ha dichiarato di non volere alcun accanimento terapeutico. Stanotte, alle tre, il decesso.
I segreti del padrino
Matteo Messina Denaro era riuscito a restare latitante per trent’anni, nonostante dovesse scontare diversi ergastoli: era fra i mandanti delle stragi di Capaci e di via d’Amelio, delle bombe di Firenze, Roma e Milano. All’ergastolo era stato condannato anche per il sequestro e l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del collaboratore che per primo svelò i segreti della strage di Capaci. E per il delitto dell’agente della polizia penitenziaria Giuseppe Montalto. Matteo Messina Denaro era uno dei fedelissimi di Salvatore Riina, assieme a Giuseppe Graviano componente della “Super cosa” costituita dal capo dei capi di Cosa nostra per portare avanti la stagione delle stragi.
Il boss arrestato il 16 gennaio scorso al culmine di un’indagine coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido conosceva dunque i segreti della stagione di morte che ha insanguinato l’Italia fra il 1992 e il 1993. Era stato anche protagonista delle relazioni eccellenti fra mafia e pezzi delle istituzioni, e conservava tesori mai sequestrati. Dopo la cattura, disse al procuratore de Lucia nel corso del primo faccia a faccia: “Non collaborerà mai”. E l’ha ribadito anche nei due interrogatori successivi fatti nel carcere dell’Aquila. “Certo che ho dei beni, ma non vi dico nulla, sarebbe da stupidi”.
La latitanza
Durante il primo interrogatorio, il 13 febbraio scorso, Messina Denaro aveva detto: “Allora, ascoltate, non voglio essere, non voglio fare né il superuomo e nemmeno l’arrogante: voi mi avete preso per la malattia, senza la malattia non mi prendevate”. Il procuratore de Lucia lo riprese: “Ma intanto l’abbiamo presa”.
Poi, lo stesso boss aveva spiegato che la malattia, scoperta nel 2020, aveva cambiato le sue abitudini: “Quando scoprii questo tumore e quindi mi restava poco da… però volevo andarmi a curare, dissi: ‘Vediamo’. E mi sono messo a pensare, ho seguito un vecchio adagio, un proverbio ebraico che dice: “Se vuoi nascondere un albero, piantalo nella foresta”. E l’ho seguito per davvero. Anche perché dicevo: “Ora che ho la malattia, non posso stare più fuori e debbo ritornare”. Qua mi gestivo meglio, nel mio ambiente”. Tornò dunque in Sicilia dopo aver scoperto la malattia.
Così ha raccontato: “Non potevo fare alla Provenzano, dentro una casupola in campagna, con la ricotta e la cicoria, con tutto il rispetto per la ricotta e la cicoria, ma io devo uscire, dovevo mettermi in mezzo”. A Campobello di Mazara, doveva fissato il suo covo, andava anche al ristorante e di tanto in tanto pure a giocare ai videopoker.
L’arresto
La svolta nell’indagine è avvenuta il 6 dicembre, quando i carabinieri del Ros sono entrati nell’abitazione di Rosalia Messina Denaro, a Castelvetrano, e nel piede cavo di una sedia, dove volevano installare una microspia, hanno trovato un biglietto con il diario clinico di un malato di tumore. Le ricerche nella banca dati del ministero della Salute hanno portato a una persona in particolare, Andrea Bonafede, geometra di Campobello, nipote dello storico boss del paese, fedelissimo dei Messina Denaro. Il 16 gennaio, il geometra Bonafede aveva una seduta di chemioterapia alla clinica La Maddalena di Palermo. Ma non si presentò lui, piuttosto il padrino latitante, che venne arrestato. Nella borsa aveva due telefonini, in un appartamento di Campobello sono stati trovati più di mille pizzini, con tanti nomi in codice, che adesso magistrati e investigatori stanno cercando di decifrare. I segreti di Messina Denaro li conoscono alcuni fedelissimi. Probabilmente, anche il segreto di un’ultima talpa. Il 24 maggio del 2022, Messina Denaro scriveva a “Fragolone”, la sorella Rosalia: “Purtroppo è andato tutto a scatafascio. La ferrovia non è praticabile, è piena, quindi capirai che non si può. Al momento non so cosa dirti”.
Le indagini del Ros ci dicono che la “ferrovia” citata nel biglietto era probabilmente la vecchia rete ferrata che passa proprio alle spalle della casa di campagna di Rosalia Messina Denaro, lì dove in quei giorni la donna aspettava qualcosa o qualcuno. E il latitante fermò tutto, una storia alquanto emblematica: già il primo ritrovamento dei pizzini ha fatto tornare l’ombra degli insospettabili complici nella storia di Messina Denaro.
Cosa nostra oggi
Cosa accadrà nell’organizzazione mafiosa dopo la morte di Matteo Messina Denaro? Il boss trapanese non era formalmente il capo di Cosa nostra, ma solo il capo della provincia mafiosa di Trapani. Era però l’ultimo boss delle stragi, il fidato di Salvatore Riina, dunque un personaggio carismatico che molti mafiosi e clan cercavano e avevano come punto di riferimento. Attualmente, Cosa nostra palermitana non ha un organismo di vertice, la commissione provinciale: l’ultimo tentativo di riorganizzazione della Cupola è stato bloccato dai carabinieri e dalla procura distrettuale di Palermo, alla fine del 2018. I boss però resistono ai colpi inferti dall’antimafia e mostrano una grande capacità di resilienza, dovuta anche a una nuova liquidità, ottenuta con rinnovati traffici internazionali di droga. Messina Denaro ha lasciato un metodo al popolo di Cosa nostra, quello della mafia imprenditrice, che non chiede il pizzo agli operatori economici, ma offre denaro, per cercare di conquistare altre aziende. Una mafia che punta a nuove relazioni segrete.
La Repubblica, 25/9/23
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