Mauro Rostagno
di Giacomo Pilati
Trentacinque anni senza la speranza di un mutamento possibile, doppiati dalla malinconia del vuoto. Fu una folata di vento fresco che colse tutti di sorpresa. Il tempo scandito dai notiziari di Rtc
Un silenzioso smarrimento. La pigra ostentazione di una memoria sepolta dalla dimenticanza. Trafitta da un fulmine scagliato da un cielo remoto, irraggiungibile. Una scia di luce sbiadita dal tempo.
Trentacinque anni così, doppiati dalla struggente malinconia di un vuoto. Che col tempo è diventato invisibile. Inconsistente, affidato solo a sporadici segnali. Comete di inaudito dolore che non bastano però a raccontare quello che è accaduto veramente in questo cielo capovolto.
Mauro Rostagno. Due paginette assegnate a scuola, portate in processione, indossate come un vestito per le occasioni buone. Senza mai guardare dentro al vuoto. Senza ascoltare il silenzio tradito dai rimorsi. La nostalgia violenta di quel preciso momento. Custodito dal sentire comune come una santa reliquia impolverata. Un sepolcro imbiancato da una sottile ragnatela di sensi di colpa, così impalpabile da apparire trasparente. Confusa con i tramonti che così belli ce li abbiamo solo noi, col mare cristallino che si vedono pure i pesci, col bianco candido del sale.
Immagini che come presagi si accavallano ai luoghi comuni. E alla bellezza che ancora una volta spariglia le carte, i sentimenti, la giustizia. E urla nelle viscere di chi c’era. Con la quiete appena increspata delcortile di casa; che poi c’è un cielo che alla fine perdona tutti. Lo stesso che lui ha capovolto, per raccontare quello che gli occhi mentivano.
L’invenzione di una stagione nuova, la primavera, da queste parti surclassata da estremi sempre uguali. Con la luce che finalmente si poteva toccare. Con le scarpe sopra le stelle, coi passi a scuotere la terra.
Trentacinque anni senza la feroce speranza di un mutamento possibile. L’insurrezione delle coscienze estorta dalla verità di una voce puntata dritta al cuore della gente. Il battito del tempo scandito dai notiziari di Rtc, una televisione locale come tante, con la pubblicità del salumiere e le televendite dopo pranzo. Eppure potente, come un abbecedario per chi deve imparare a leggere e scrivere.
Una folata di vento frescoche ha colto tutti di sorpresa, operai, impiegati, professionisti, forze dell’ordine, magistrati. Un soffio di tramontana dopo anni di arido scirocco. La piazza di Trapani risorta, incollata davanti ai teleschermi ad ascoltare la progenie di una stirpe deviata, inquinata dagli affari, corrotta; eppure fedele, accreditata fra i vincenti, col suo posto nella storia, gonfia di clientele e complicità. Un patto narrativo sovvertito da un uomo vestito di bianco con l’accento torinese e un passato complesso e affascinante. Con uno sguardo originale sulla città, quasi mitologico. E un progetto politico comprensibile, coi buoni e i cattivi separati da un sentimento di giustizia a cui tutti, dopo, potevano arrivare da soli.
Un catalizzatore di emozioni sovversive, con i delinquenti in galera e la povera gente in cimaalle notizie. Con i politici di lungo corso aggrappati alla sua ragnatela in cerca di una possibile mediazione per provare a comprendere il consenso improvviso, deflagrante. Il teatro dell’informazione portato in spalla con la disinvoltura dei grandi anchorman televisivi. Celebrato ogni giorno alle 14 davanti a una platea muta, devota alla liturgia della cronaca. Le parole di un sociologo che aveva capito il sistema e ardiva spiegarlo anche a chi non aveva mai osato chiedere.
Come quei libri sul sesso degli anni Settanta, un pruriginoso assalto alla diligenza della conoscenza. Una ribellione di popolo, coi rumori di fondo piegati da un notiziario che così non si era visto mai nemmeno sulle reti nazionali.
Ironia, inchieste su mafia e malcostume, testimonianze, visioni. Con le storie della città bella e di quella brutta. Con i poeti, gli inventori, i matti sugli altari. E i mafiosi, i politici corrotti, i criminali nella fossa. Senza allusioni, o messaggi subliminali diretti a chissà chi, coi nomi e cognomi e le foto a tutto schermo.
E il coro assiepato sugli spalti a guardare. Ad applaudire, a suggerire, a sostenere, a tirarsi indietro, a nascondere la mani. Fino al 26 settembre del 1988. Il giorno in cui è stato ucciso l’uomo ragno.
La Repubblica Palermo, 26/9/23
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