Il fotografo lancia la sua provocazione “È inutile far finta che non sia così”. Il pubblicitario Mazza: “Il no ai souvenir è bullismo culturale”. Il semiologo Marrone: “Il Padrino è una miniera”.
di Eleonora Lombardo
È una parola francese che viene direttamente dal latino, souvenir letteralmente significa “venire alla mente”, molto più chic del nostrano “ ricordino”, ma con lo stesso fine: riportare alla memoria la caratteristica del luogo. Basterebbe questo per capire che, dietro la vicenda dei “ souvenir a tema mafioso” sui traghetti dello Stretto sollevata dal musicista Mario Incudine e che ha suscitato l’immediato intervento dell’assessore regionale all’Infrastrutture Alessandro Aricò che ha promesso che ne proibirà la vendita, c’è una questione molto più seria pronta a infiammare gli animi degli esperti di comunicazione, marketing e pubblicità.
Il fatto è che la querelle innescata da Incudine mescola diversi temi: sono sullo stesso piano le magliette del padrino e le statuette del mafioso grasso con coppola e lupara? È l’istituzione che deve vietarne la vendita? Questi gadget piacciono ai turisti, ma spaventano i siciliani perché ormai la Sicilia è cambiata o perché a cambiare è stata prima la mafia e la gadgettistica è ferma al passato?
Oliviero Toscani |
«Questi souvenir sono stereotipi, regressivi, che non evolvono, ma difficilmente la comunicazione ne può fare a meno» dice Giuseppe Mazza,uno dei copywriter italiani più stimati, docente alla Iulm, fondatore e direttore creativo dell’agenzia Tita, siciliano di origine. « È interessante constatare qual è il punto di cottura dell’opinione pubblica, quando è che alcuni simboli cominciano a dare fastidio, o meglio quando si riesce a guardare a questi simboli con distacco? Nessuno si sognerebbe di fare gadget in Italia sulle Brigate Rosse, perché è una storia ancora viva. Una cultura che si sente affrancata non ha problemi, ha i mezzi per prenderne le distanze e a limite di non comprarne».
Mazza si pone piuttosto il problema di riflettere sul fatto che questi souvenir non rappresentino più la mafia: « Ricordo quando Cuffaro fece i manifesti “ La mafia fa schifo”, salvo poi essere condannato per favoreggiamento a Cosa nostra. Allora pensai si trattasse di qualcosa di molto raffinato, perché poteva volere dire che non fosse più quello il codice giusto per colpire la mafia. In questa invettiva contro i souvenir, vedo del bullismo culturale, un prendersela con i soggetti più deboli di una catena ben più ampia».
Diversa su tutti i fronti l’opinione diFlavia Trupia, comunicatrice, docente, divulgatrice e amministratrice di “ Per la retorica”, associazione che si occupa di formazione in ambito comunicativo. « Questi oggetti sono pericolosi, è una decisione giusta quella di toglierli, andrebbero tolti non solo dalle navi, ma da ogni scaffale » dice, pur distinguendo una netta differenza tra ciò che discende dal film “Il padrino” e il resto, in quanto una storia raccontata in un film ha lo stesso valore di un oggetto esposto in un museo.
Per Trupia le insidie si nascondono nel fatto che questi oggetti «rendono eroe il personaggio negativo. Creano una similitudine pericolosa: il mafioso venduto accanto al carretto siciliano, o alla palla di neve con l’Etna, diventa la stessa cosa. Ovvero, il brand Sicilia è fatto di carretti, Etna e mafia. Si apre così la strada al sillogismo retorico, una deduzione basata su un luogo comune e non sulla logica. In questo caso “Tutti i siciliani sono mafiosi”». Trupia sostiene l’intervento dell’istituzione che deve «tutelare l’immagine dell’Isola, non sottovalutando il fatto che depotenziare i simboli folkloristici potrebbe far pensare che il fenomeno mafioso non esiste più e quindi ci si può scherzar su».
Il semiologo Gianfranco Marrone prende molto sul serio la vicenda: «Dietro la denuncia di Incudineci sono problemi oggettivamente importanti, perché i simboli non sono stupidaggini, fanno parte della realtà e la modificano » dice. E subito aggiunge: «Ma vietare un simbolo è la maniera migliore per farlo proliferare, è la cosa più controproducente che si possa fare e ce ne sono le prove». Per Marrone invece la Regione dovrebbe convocare un tavolo di artisti, cantanti, semiologi, esperti di marketing per risignificare questi oggetti: «i simboli sono pronti al cambiamento spetta a noi dargli altri significati, pervertirli, giocarci su e farli diventare altro. Fino a qualche anno fa la coppola era un indumento condannato, poi uno stilista è riuscito a dargli un nuovo significato. Bisogna creare un nuovo immaginario, Il Padrino è una miniera, basta risignificarlo».
Ma la condanna più aspra a tutta la vicenda arriva da Oliviero Toscani,
l’uomo che non ha mai disdegnato di usare la provocazione per lanciare messaggi forti e che ha un lungo legame con l’Isola: «La Sicilia è famosa per questo. È inutile far finta che non sia così. La mafia la avete inventata voi e ve la tenete» . Toscani tuona contro l’atteggiamento di chi se la prende con questo genere di cose, mentre passano sotto silenzio cose più gravi: «Io la mafia l’ho vista da vicino, anche chi non è mafioso lo diventa, stavo per diventarlo anche io» dice riferendosi allo scioglimento per inquinamento mafioso dell’amministrazione Sgarbi al Comune di Salemi presso il quale era stato assessore alla creatività. Non ha peli sulla lingua il noto fotografo e pubblicitario: «Finitela di frignare per le stupidaggini, avete eletto degli impresentabili, vergognatevi. Appena uscite dalla Sicilia diventate civili. La Sicilia è la più grossa discarica di intelligenza». Parole forti, provocatorie, pronte a innescare una nuova discussione.
La Repubblica Palermo, 8 settembre 2023
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