di Enrico del Mercato
Se a un qualsiasi palermitano provate a chiedere di immaginare Leoluca Orlando nelle vesti di una delle tante “maschere” cittadine, nessuno negherà di poterlo riconoscere in ognuna di esse: l’intellettuale colto e cosmopolita, l’urlatore descamisado, l’addentatore di un panino con la milza grondante di grasso, l’arruffapopolo e il sapiente mediatore, il figlio della borghesia cittadina (che tanto ha contribuito a stendere sulla città quel velo di ipocrisia sotto il quale si consumavano le nefandezze del potere e della mafia) e il ribelle che ha portato quella stessa borghesia cittadina (o quantomeno
Constanze Reuscher che è tedesca, di Brema, nord protestante («la città più “rossa” della Germania, ordinata, verde, piena di luce e orizzonti”) e, dunque, quanto di più lontano si possa immaginare dal panormitismo (quello positivo e quello deteriore) ha scovato nel lessico politico tedesco una definizione che al legame intenso, irripetibile e controverso tra Orlando e Palermo, molto bene si attaglia: Stadtvater, padre della città. Ed è proprio dalla lunga conversazione in forma di intervista tra la giornalista Constanze Reuscher, ex corrispondente dall’Italia del quotidiano tedesco Die Welt e l’ex sindaco Leoluca Orlando che è venuto fuori il libro “Enigma Palermo”, edito da Rizzoli. Che non è soltanto il tentativo di riavvolgere il nastro per ripercorrere i ventidue anni (per complessivi sei mandati) nei quali Orlando è stato alla guida di Palazzo delle Aquile, ma anche la scommessa di provare a sciogliere proprio l’enigma Palermo a cominciare dalla domanda principale: è davvero cambiata la città che, allo sbocciare degli anni Ottanta (quando ilsinnacollando entra per la prima volta a Palazzo delle Aquile) è conosciuta nel mondo per il fatto di essere la capitale della mafia o poco più?
Orlando la risposta la dà: «Oggi Palermo è profondamente diversa rispetto a quella che era quarant’anni fa. Quando io ho iniziato la mia esperienza, all’aeroporto di Punta Raisi atterravano solo i dollari della droga della mafia e qualche giornalista per fare inchieste su Cosa nostra. Adesso l’aeroporto si chiama Falcone e Borsellino e ci atterrano milioni di turisti». Ed è vero. Così come è vero che a chiunque sia toccato in sorte di vivere a Palermo negli anni Ottanta, la differenza tra la città buia con zone e quartieri inespugnabili e abbandonati (a cominciare dall’oggi fastoso centro storico) e quella di oggi aperta, multietnica, giovane e che riesce perfino a vendere come parte di un pacchetto turistico la propria irrefrenabile tendenza alla decadenza, salta all’occhio. Tra queste due inconciliabili istantanee di Palermo, però, oltre a Orlando c’è stato il tempo della globalizzazione, delle distanze che si sono accorciate in tutto il mondo (e di conseguenza anche tra Palermo e il resto del mondo). Così, per chi non ci fosse stato allora, non deve suonare strano l’interesse che Constanze Reuscher, nel 1990 appena arrivata dalla Germania a Roma come corrispondente di Die Welt,scopre per il sindaco di Palermo, città lontana e apparentemente marginale nella politica italiana. Eppure, già allora Orlando aveva avviato quella rottura che proietterà Palermo sulla scena della politica nazionale in tumultuoso cambiamento. Nella sua prima esperienza da sindaco, “Luca” (come confidenzialmente lo chiamano i palermitani) ha scardinato il rigoroso assetto delle alleanze, aprendo la sua giunta nientemeno che ai comunisti. L’enigma Palermo comincia proprio lì. Dalla “ capitale della mafia” comincia la ribellione contro l’assetto immutabile della politica italiana e dei suoi partiti alle prese con una ormai evidente questione morale (di lì a poco scoppierà tangentopoli). Orlando diventa l’anti-Andreotti nella Dc, poi esce dal partito e fonda La Rete, torna a fare il sindaco mentre tutt’intorno il sistema che reggeva dalla fine della guerra si sbriciola.
Ma la città è per l’appunto un enigma e così pochi mesi dopo aver plebiscitariamente rieletto Luca a Palazzo delle Aquile diventa una delle capitali della nuova “religione”: il berlusconismo. Cosa che, per la verità,si ripete trent’anni — e altri tre mandati di sindaco — dopo. Nel 2022, dopo Orlando a Palazzo delle Aquile torna la destra trionfante e, perdipiù, con il viatico di due big sponsor come Cuffaro e Dell’Utri, entrambi reduci da soggiorni nelle patrie galere per rapporti con la mafia. Il tutto senza che in campagna elettorale di Orlando comparisse neppure il nome. «Mai nessuno mi ha chiesto di intervenire, pur essendo il sindaco di sinistra in carica, nella campagna del candidato Miceli — racconta Orlando a Reuscher — è stato anzi alimentato un discorso sulla necessità di discontinuità rispetto all’esperienza Orlando. Era noto che non potessi più ricandidarmi. Così è stata del tutto liquidata l’utilità di fare riferimento al consenso, comunque ancora forte, per il cambiamento della città maturato durante le mie sindacature. Vorrei ricordarlo, a costo di sembrare autoreferenziale: la mia esperienza rimane unica nella storia repubblicana di Palermo».
È la parte del libro in cui c’è anche la rivelazione della lettera di dimissioni pronta — davanti all’impossibilità di approvare il bilancio — e poi ritirata perché in piena pandemia non era il caso di lasciare la città senza guida. Ma il senso di Enigma Palermo, il rebus della città dove sembrano allungarsi vecchie ombre («Cuffaro e Dell’Utri sono i nuovi campieri e da Lagalla non ho sentito una parola con la quale prendesse le distanze da loro» , dice Orlando) è tutto in una domanda che Reuscher pone a Orlando e alla quale u sinnacu risponde così. «Senza Orlando, l’orlandismo non è e non sarà mai più al governo della città, è finito. Palermo se la deve cavare senza Orlando sindaco. Ma certamente resta Palermo. E quanto è accaduto durante le mie sindacature non può essere una parentesi. La mia lunga esperienza — dentro la storia della città — resterà un contributo e un tentativo di sciogliere i nodi e le domande dell’enigma Palermo e di indicare un percorso di futuro possibile».
La Repubblica Palermo, 27/9/2023
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