Vincenzo Consolo
di Salvatore Ferlita
Esce una raccolta di interviste che ricostruiscono la sua lettura sui grandi fatti nell’Isola con le foto di Leone. “Migranti approdati fortunosamente contro i quali si scontra il nostro feroce egoismo di italiani, di europei ben pasciuti”
Per Vincenzo Consolo si poteva essere scrittori in un solo modo, ossia scegliendo la direzione opposta rispetto al potere. Mettendosi di traverso, facendo il bastian contrario, in barba all’opinione pubblica, al senso comune. Odiava i chierici, gli accoliti della letteratura (a Metastasio aveva sempre preferito Parini e Alfieri), avendo deciso di vestire i panni del guastafeste, di chi mette audacemente il dito nella piaga purulenta dell’Isola e della nazione. Questo suo sembiante inquieto e, spesso, divinatorio ci viene restituito in pieno dalle pagine che sostanziano un volume prezioso in uscita per i tipi di Mimesis: si intitola “Kalasìa. Parole contro il potere” (136 pagine, 14 euro), a cura di Concetto Prestifilippo, arricchito dall’abbagliante racconto fotografico di Giuseppe Leone.
Si tratta di una serie di conversazioni che il curatore ha intrattenuto con l’autore del “Sorriso dell’ignoto marinaio”, pubblicate su quotidiani e riviste nell’arco di un ventennio ( dal 1992 al 2010 circa). In appendice svetta una selezione di saggi e articoli dedicati a Consolo dopo la scomparsa.Il criterio con cui sono state allineate le interviste si basa sulla centralità di alcuni eventi epocali della storia della Repubblica e sull’ingombro di specifici temi di intervento. Colpisce, immediatamente, non tanto la profondità dello sguardo dello scrittore, vero erede di Leonardo Sciascia, ma l’attualità infuocata delle sue parole. Ha ragione Prestifilippo: invece di chiederci, a mo’ di tormentone, « chissà cosa avrebbe scritto Consolo» in occasione di un evento significativo, basterebbe compulsare le sue pagine, riavvolgere il nastro delle sue dichiarazioni per ricavarne un’indicazione, la chiave di lettura di cui oggi abbiamo urgente bisogno.
Prendiamo, ad esempio, il commento di Consolo dopo la strage di Capaci: « Credo che Palermo e la Sicilia siano ormai teatro dei giochi più pericolosi. Questo delitto è un delitto politico, non ci sono dubbi. È al di sopra della mafia. Certo, si servono delle forze barbariche della mafia per eseguire queste stragi. Gli ordini, però, sono partiti dalle alte sfere. Falcone, sicuramente, aveva individuato le connessioni tra potere politico e potere mafioso».
Di certo, Consolo non era uno che le mandava a dire. Altro snodo cruciale, ossia il trionfo berlusconiano nel 2001. « Personalmente – commenta lo scrittore di Sant’Agata di Militello nell’intervista per “ Repubblica”– sono ferito dal dato elettorale siciliano. Capisco che una città come Milano trovi rispondenze nel messaggio di Berlusconi. È quella una regione di imprenditori che riconosce, come aveva riconosciuto nel fascismo, un suo rappresentante. Non comprendo però la scelta dei siciliani. Un’isola che con il suo plebiscito incondizionato si è dimostrata ancora una volta servile. Pronta a piegarsi a qualunque padrone giunto da fuori. Il voto dei siciliani addolora quanti hannoa cuore le sorti di questa regione. Il segno più inaccettabile di questa svolta politica è stato l’elezione di un neofascista della Fiamma tricolore nel collegio di Avola».
La tentazione è grande: dinnanzi alla recente sterzata politica che ha aperto le porte a un neofascismo più strisciante, cosa avrebbe scritto Consolo? Come avrebbe chiosato l’assenso politico quasi incondizionato alle forze della reazione? In che modo avrebbe letto la crisi dei progressisti? Le sue parole, seppure divaricate, consegnate alle pagine dei giornali, vibrano ancora per attualità e dimensione profetica: « Sono stati disattesi i grandi temi sociali » rispondeva sempre nel 2001 alla domanda sugli errori commessi dalla sinistra. Per poi aggiungere: «I piccoli caporali del progetto hanno imparato solo le tattiche, le strategie utili per l’esercizio di quello che credono essere il potere. Molti anni fa sono stato testimone dell’incontro tra Leonardo Sciascia e Giancarlo Pajetta. Eravamo nella sede del quotidiano L’Ora. I due, dopo i saluti, si misero subito a parlare di Anatole France. Mi chiedo quanti di questi nuovi leader progressisti hanno letto Anatole France. Frequentino meno i Maurizio Costanzo show ».
Per non dire del tema dei migranti, che gli stava particolarmente a cuore: scriveva che il Mediterraneodoveva essere il luogo dell’incontro delle culture. Questo trasformarsi in un tragico cimitero era per lui una tragedia insopportabile. « Migranti approdati fortunosamente a Lampedusa contro i quali si scontra il nostro feroce egoismo di europei ben pasciuti».
Ma c’è un altro aspetto, rimasto quasi sempre in ombra, che dall’apparato iconografico del volume emerge con prepotenza: il ricordo di un uomo solare. Le foto di Leone, una lunga sequela di immagini ( alcune ormai leggendarie) scattate per lo più in contrada Noce a Racalmuto, ci restituiscono Consolo in compagnia di Leonardo Sciascia e Gesualdo Bufalino: sorride divertito, sereno. Circola ancora, tra chi discetta spesso banalmente di letteratura, il falso ritratto di uno scrittore scontroso, perennemente ombroso, accigliato alla stregua di un Torquemada esagitato, che non corrisponde per niente all’immagine privata, a quella vera, più intima. Era «un uomo che appariva invece solare, ironico, dal sorriso ineffabile » , ha confessato il fotografo ragusano, che assieme al grande scrittore ha dato forma a volumi memorabili sulla Sicilia, «quello di un Vincenzo Consolo privato, insospettato, autoironico » , che spesso prendeva in giro se stesso anche per il cognome che portava.
La Repubblica Palermo, 28/9/2023
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