Il teatrino di via Bara all’Olivella in una foto d’archivio |
di Marta Occhipinti
Via Bara all’Olivella, numero 95. Se riavvolgessimo il nastro del tempo, tutto attorno alle mura del teatrino da 90 posti dove Mimmo Cuticchio ha dato casa ai suoi pupi agli inizi degli anni Settanta, scongiurando demolizioni di palazzi prima e gentrificazioni del centro storico poi, ci sarebbe l’odore di olive in salagione. Lì, proprio in una parte del vecchio magazzino di proprietà di un fontaniere, cinquanta anni fa un uomo salava olive. Nessuno avrebbe mai immaginato che sotto a quell’arco in pietra in una stanza di appena venti metri per cinque, un pubblico di occhi attenti e sguardi bambini avrebbe assistito a uno spettacolo di pupi: “L’arrivo di Angelica a Parigi”, prima messa in scena con cui Cuticchio inaugurò il teatrino in via Bara.
Fu l’inizio, per lui, di una sfida: quella di rinnovare il repertorio classico dell’opera dei pupi fino ad approdare alla rivoluzione della grande scena con cicli tratti da Omero e Shakespeare e non più o solo della tradizione dei paladini di Francia.
Il teatrino di via Bara fu l’inizio. La strada che negli anni Sessanta visse lo spopolamento delle case bombardate da parte di chi emigrava in America e dove venivano custoditi tutti gli approvvigionamenti che arrivavano dal porto, dalla calce al carbone ai viveri alimentari. Tra i tanti magazzini della strada, Cuticchio ne adocchiò uno in particolare, al numero 48. E forse fu anche destino. In quel civico, dove ora sorge il laboratorio dei Figli d’arte Cuticchio, nei primi del Novecento era attivo il teatrino della storica famiglia di pupari, Canino. Cuticchio, tornato dal servizio militare e con il sogno di costruire i suoi pupi da mandare in scena in un teatrino per diversificare dal padre Giacomo la sua attività, stavolta non più rivolta ai turisti, prese in affitto per 5mila lire al mese i locali.
«Io parto da qui», disse Cuticchio. Erano gli anni Settanta, agli spettacoli dei pupi si avvicinavano solo i bambini e qualche curioso. Non i borghesi, ma la gente del popolo. Di famiglie di pupari ne erano sopravvissute solo tre: Giuseppe Argento in via del Pappagallo, Antonio Mancuso, al Borgo Vecchio, e Giacomo Cuticchio in vicolo Ragusi. Fu proprio allora che il giovane Mimmo Cuticchio ideò le rassegne di teatro dei pupi nei quartieri, passando dalla Noce a Brancaccio a raccontare le gesta di Orlando e Angelica, fino a coinvolgere insegnanti e studenti delle scuole. Il pubblico si affezionò sin da subito, dopo il primo spettacolo al teatrino di via Bara, il 28 luglio del 1973. Eppure i soldi per mantenerlo non bastavano mai. Si chiudeva l’incasso con non più di 7mila lire in un teatrino che allora contava appena 48 posti e un biglietto per adulti costava 300 lire, 50 per i bambini, il pubblico più assiduo. Per fortuna, ametà degli anni Settanta per la crisi del settore e la chiusura di molte botteghe artigiane, chiuse la falegnameria al civico 50 e Cuticchio potè allargare i locali che con altre due altre stanze divenne l’attuale struttura con retropalco e il doppio dei posti a sedere.
«In quegli anni ero un pescatore di anime grazie ai miei pupi» , racconta Cuticchio. Si raccoglievano 100 lire a persona negli spettacoli di piazza a nei quartieri. Cuticchio debuttò anche tra i palazzoni dello Zen, dove sfollarono i residenti di San Pietro, la zona bombardata alla Cala, dove un tempo c’era un teatrino dei pupi e la gente, scommise il puparo, avrebbe apprezzato.
«Il mio teatrino è come un albero che, pur sostenendosi grazie alle sue radici, vive di frutti e di fiori, ovvero i miei spettacoli per il mondo, dal Giappone all’America, i laboratori con le scuole e le visite alle collezioni». Nei primi anni di attività al teatrino Cuticchio incontrò l’architetto Manlio Cordello, un insegnante che gli propose il primo progetto in collaborazione con le scuole e che insieme a lui iniziò a proporre le visite guidate nel quartiere dell’Olivella, dal museo Salinas al teatrino dei pupi. Poi nel 1984 il debutto della “Macchina dei sogni”, altro tentativo di incursione artistica nella vita della città, che quest’anno si svolge nuovamente nel teatrino.
«Ho sempre fatto un po’ come si fa coi palazzi quando si progetta sulle loro fondamenta», dice Cuticchio che in via Bara ha condotto anche tante battaglie: la prima pedonalizzazione di una strada del centro storico sotto l’amministrazione Orlando e nel ’ 97 l’apertura della prima scuola di pupari e cuntisti proprio al teatrino.
Come delle bambole di matrioska, i locali dell’associazione Figli d’arte Cuticchio sono cresciuti nel tempo. L’ultimo il teatro museo coi pupi di una vita inaugurato nel 2007. Dentro ci sono i costumi di mamma Pina Patti, i primi pupi costruiti da Cuticchio, la storia degli spettacoli montati con la compagnia e coi compagni di viaggio di sempre, il figlio Giacomo e la moglieElisa. Ma soprattutto ci stanno i pupi. Appesi lì in attesa di andare in scena in un palco più grande, per un pubblico più vario. Oggi i teatrini dei pupi restano solo tre, grazie alle nuove generazioni delle famiglie Mancuso, al Borgo Vecchio, e Argento in Corso Vittorio Emanuele. E sabato Cuticchio alle 18.30 omaggia il suo primo spettacolo fuori dal repertorio classico, ispirato a “L’Iliade” di Omero, per celebrare i cinquant’anni di attività del suo teatrino.
La Repubblica Palermo, 11 agosto 2023
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