L’intervento di padre Giovanni Calcara
Pubblichiamo l’intervento pronunciato dal frate domenicano Giovanni Calcara durante la manifestazione a Caccamo per l’intitolazione di una strada al sindacalista Filippo Intili, ucciso dalla mafia nel 1952.
GIOVANNI CALCARA*
Un affettuoso e caro saluto a tutti i presenti, innanzitutto ai nipoti di Filippo Intili che ogni anno con la loro presenza sono per tutti noi un richiamo e un monito non solo per la doverosa memoria del loro congiunto, ma nell’impegno a fare in modo che la luce del suo martirio continui a splendere. Saluto le autorità politiche, i rappresentanti delle Forze dell’Ordine, i rappresentanti della CGIL che da sempre hanno promosso il ricordo, non solo di Filippo Intili, ma di tutti i sindacalisti uccisi dalla mafia, colpevoli per avere difeso i diritti dei lavoratori.
Quest’anno il tono del ricordo, assume un significato del tutto particolare perché una strada viene intitolata al nostro Filippo Intili. E’ quella strada che, rendeva possibile il raggiungimento del terreno a lui affidato, e che percorreva con i suoi familiari, ogni giorno per affrontare il duro lavoro dei campi, come la strada di ritorno per godere il riposo e il calore della famiglia, come anche le
serata trascorse alla Camera del Lavoro per discutere con gli altri lavoratori dello sfruttamento ingiusto e disumano che subivano da parte dei proprietari, nel silenzio omertoso e complice delle Autorità che avrebbero dovuto invece difendere le loro legittime richieste. E poi il silenzio, la paura, l’omertà degli altri, di tutti che preferivano “farsi gli affari propri”.La strada: metafora della vita, del movimento, dell’incontro, di una meta da raggiungere. Che implica il lasciare il luogo abituale in cui si vive, per raggiungerne un altro.
Il profeta Isaia (43,19) dice che Dio si impegna solennemente: “Io stesso aprirò una strada nel deserto”, non solo, ma vi farò “crescere il narciso”. Inoltre sarà la strada attraverso la quale Israele era stato condotto in esilio e dalla quale ritornerà in patria. Lo stesso Gesù si proclamò di essere la “via” e i suoi primi discepoli furono chiamati quelli della via “odos”.
La vicenda umana di Filippo Intili, il ricordo del suo atroce delitto ci richiamano a delle riflessioni sul modo con cui sappiamo vivere, nel nostro oggi, l’esempio del suo martirio. Dice ancora il profeta Isaia (1,17): “imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso”.
Infatti, egli non è rimasto fermo ma ha saputo mettersi in strada, per percorrere tutto un cammino di presa di coscienza della realtà in cui viveva e delle cause che erano all’origine di tanto dolore, ingiustizie e sofferenze. E lo fece, fino alle estreme conseguenze come l’amico Salvatore Carnevale. Noi, il più delle volte, preferiamo il quieto vivere e il vagliare bene l’opportunità o meglio, il guadagno che, possiamo avere nel prendere certe decisioni. Cadendo nell’ipocrisia e nella meschinità, come quando si imputava la scarsa presenza dei cittadini o delle associazioni della Società civile alle precedenti commemorazioni dell’assassinio mafioso di Filippo Intili al caldo del mese di Agosto, come se avesse scelto lui il giorno in cui essere ucciso dalla mafia.
Uomo libero e senza pregiudizi verso nessuno, se non quello della ricerca e dell’affermazione della giustizia, Filippo Intili per usare un’espressione cara a papa Francesco ha vissuto, forse senza saperlo, uno dei principi basilari del cristianesimo. Ha pensato e agito in termini del “noi” e non dell’ “Io”, del Bene Comune e non dell’interesse personale, ha dato la vita per gli altri. Mettendo al centro della sua azione la persona umana con tutti i suoi diritti: il lavoro, la casa, l’istruzione, l’assistenza sanitaria. Principi proclamati nei discorsi, ma nella realtà viviamo in una Società in cui al centro abbiamo l’interesse economico e il profitto. La persona è ridotta ad essere considerata oggetto di sfruttamento e diventa uno“scarto” da gettare via, se non è più utile a questi fini.E proprio per questo la sua memoria è in benedizione per tutti quelli che sanno volgere a lui lo sguardo e l’attenzione per vivere la vita per rendere più umana la nostra esistenza e i rapporti umani e sociali.
E questa dimensione dell’essersi “speso, vissuto e morto…” che ne avrebbe dovuto esaltare il ricordo di Filippo Intili, invece dimenticata per diversi decenni. Al contrario di Salvatore Carnevale, suo amico e che incontrava spesso perché erano comuni i problemi che vivevano, che ha visto condannare i suoi assassini e la cui vicenda è stata narrata anche da un film di successo, come dai cantastorie nelle piazze della Sicilia, come ascolteremo fra poco. Senza saperlo… è stato “chicco che porta frutto, perché muore”. Ma proprio per questo porta “frutto”.
Oggi non si inagura solo una strada intitolata al sindacalista ucciso dalla mafia, ma una “strada nuova” nelle nostre coscienze e in tutti coloro che come Filippo Intili hanno un sogno e un desiderio vero nel proprio cuore.
Perché come dice papa Francesco: “Tutti dobbiamo avere il diritto di avere un sogno e di lottare perchèesso diventi realtà”.
Il nostro sogno è: la “strada” di Filippo Intili.
Padre Giovanni Calcara, domenicano
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