Lino Buscemi
Chiariamo subito un punto. Quando il 10 luglio del 1943 le armate angloamericane sbarcarono nelle coste meridionali della Sicilia, non erano animati, come qualcuno volle far credere, dall’intenzione di «liberare» l’Isola ma, più realisticamente, di conquistarla e occuparla militarmente essendo territorio nemico a tutti gli effetti.
Infatti, in quel momento, Italia, Germania e Giappone erano in guerra contro USA, Gran Bretagna, Francia ed altri Paesi. La Sicilia, pur con postazioni militari, armamenti ed equipaggiamenti insufficienti e inadeguati era presidiata, con il difficilissimo compito di difenderla, da circa 405.000 soldati di cui 90 mila tedeschi e 315 mila italiani. Nei programmi dei comandi angloamericani tutto il territorio siciliano doveva essere conquistato rapidamente in quindici giorni, invece di giorni ce ne vollero trentotto perché, soprattutto in alcuni centri della parte orientale dell’Isola, le truppe dell’Asse diedero filo da torcere agli angloamericani e canadesi prima di abbandonare il campo o di arrendersi.
La reazione fu assai violenta. Fra massacri, stragi ed esecuzioni sommarie persero la vita numerosissimi militari e inermi cittadini di tutte le età. Poi gli occupanti dovettero prendere atto della triste realtà dei centri urbani, a cominciare da Palermo, ridotti davvero male in conseguenza dei devastanti cinici bombardamenti effettuati da loro nell’arco di quasi tre anni (dal giugno 1940 al maggio ‘43). Il solo capoluogo dell’Isola ha subito in quel periodo 70 bombardamenti che hanno provocato oltre 2.200 morti, trentamila feriti e indicibili danni alle abitazioni civili del centro-storico, monumenti, scuole, chiese, strade e infrastrutture varie.
In tutta la Sicilia erano fiorenti il mercato nero e la prostituzione, mancavano generi di prima necessità, la fame e le malattie falcidiavano soprattutto vecchi e bambini, la disoccupazione dilagava e il malcontento popolare generava quotidiane proteste e rivolte. Nondimeno gli angloamericani, pur acclamati al loro arrivo da larghi strati di popolazione, si comportarono, ovviamente, da forza occupante e attraverso l’Amgot (governo militare alleato dei territori occupati) si sostituirono alle autorità politiche e amministrative fasciste nella gestione degli affari pubblici. Stamparono la loro moneta (le Amlire), nominarono i sindaci dei Comuni, i rettori delle Università, i prefetti, amministravano giustizia, esercitavano la censura sulla stampa quotidiana e periodica, controllavano le attività economiche, garantivano, sia pure a fatica, la funzionalità dei servizi pubblici, vietavano o autorizzavano le manifestazioni politiche ed esercitavano un ferreo controllo sulla popolazione.
Il capo dell’Amgot a Palermo era il tenente colonnello Usa, Charles Poletti, discusso personaggio (la cui figura andrebbe approfondita storicamente) già vice governatore dello Stato di New York, il quale esercitava un potere enorme e si interessava di tutto. Intanto nell’Isola si ingrossavano le fila del movimento indipendentista e separatista. L’occupazione angloamericana, complessivamente, durò più di sei mesi (la Sicilia rimane l’unica regione italiana ad essere stata «espropriata» da forze straniere) e fino al 10-11 febbraio ’44, quando la Sicilia venne restituita al legittimo governo monarchico con giurisdizione in tutto il Sud.
L’8 settembre del ’43 era stato pubblicizzato l’armistizio, firmato, alcuni giorni prima a Cassibile, tra Italia e alleati angloamericani. Eppure l’occupazione dell’Isola non cessò perché americani e inglesi ci consideravano «cobelligeranti» e non «alleati». Si dovette attendere che il re Vittorio Emanuele III dichiarasse guerra alla Germania nazista, per far cessare nel febbraio ’44 l’occupazione militare nel territorio siciliano.
Torniamo allo sbarco del 10 luglio 1943. Esso fu deciso e pianificato dalle potenze alleate angloamericane nella Conferenza di Casablanca tenutasi nel mese di gennaio dello stesso anno. Furono impiegati nelle operazioni militari circa 450 mila soldati, 2775 navi da trasporto di ogni grandezza e misura, 1600 mezzi da sbarco, 4000 aerei, 14.000 veicoli, 600 carri armati, 1800 cannoni, una quantità incalcolabile di armi e munizioni, vettovaglie e carriaggi (fonte: F. Renda, Storia della Sicilia, vol. III, ed. Sellerio). Di contro la difesa della Sicilia, come già detto, era affidata all’esercito italo-tedesco che disponeva di circa 405 mila uomini, non adeguatamente equipaggiati, di 265 carri armati e non più di 1500 aerei. Una sproporzione di uomini e mezzi evidente, che già faceva capire da quale lato pendeva l’ago della bilancia. Nell’occasione il primo ministro inglese, Winston Churchill, affermò che quel massiccio sbarco «era la più grande operazione anfibia che mai fosse stata tentata nella storia». Tuttavia lo sbarco non fu una semplice passeggiata perché da ambo le parti in guerra vi furono migliaia di morti, feriti e prigionieri. La stessa penetrazione nel territorio interno da parte di due armate, la settima capeggiata dal generale Patton e l’ottava guidata dal generale inglese Montgomery, fu irta di ostacoli e di non poche difficoltà.
In questo contesto che ruolo ebbe la mafia? Gli storici più avveduti, a cominciare da Francesco Renda, da tempo hanno sostenuto che per l’effettuazione e la riuscita dello sbarco non c’è stato alcun bisogno dell’aiuto della mafia, ammesso che questa in quel periodo godesse di ottima salute. Chi scrive, nel corso di una lunga intervista al professore Renda, effettuata nel 2008 e riportata nel libro «L’Autonomia della discordia» edito da Torri del Vento, chiese all’illustre storico della Sicilia se con il trascorrere del tempo avesse rivisto quel suo giudizio. Rispose che lo confermava, «perché lo sbarco in Sicilia ha rappresentato una delle grandi battaglie della seconda guerra mondiale. Furono impegnati complessivamente, tra americani, inglesi, canadesi, tedeschi e italiani più di ottocentomila uomini; poi migliaia di navi, aerei... Fu una grande battaglia in cui in definitiva, la guerra si risolse immediatamente. Perché chiesti rinforzi da parte tedesca ad Hitler questi li negò... In un conflitto di questo genere, nello sbarco, venne impiegata quasi tutta la flotta angloamericana, che faceva sbarcare centinaia e migliaia di uomini, e, dunque, la mafia che rapporti o incidenza poteva avere? Comunque è dimostrato che il primo contatto che si ha tra un dirigente americano e il capo della mafia don Calò Vizzini risale al 25 luglio ’43. Che poi ci siano stati dopo lo sbarco rapporti con la mafia questo è fuori discussione. Ma non nella battaglia, nello sbarco. I rapporti- conclude Renda- furono successivi e ad intrattenerli furono i servizi segreti più che il governo americano come tale».
Quei servizi segreti che pescavano nel torbido (durante l’occupazione Palermo pullulava di spie!) avevano fatto intendere, forse, che la prospettiva politica per la Sicilia poteva essere la separazione dall’Italia. La mafia intuì e si schierò con i separatisti, che pure avevano al proprio interno intellettuali e personalità politiche di un certo prestigio. La restituzione, da parte degli angloamericani, della Sicilia al governo italiano fece di fatto fallire quella prospettiva. Per l’Isola si aprivano altri scenari. Questa, però, è un’altra storia.
GdS, 9 luglio 2023
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