Mons. Luigi Bettazzi ed Enrico Berlinguer
DI ORESTE PIVETTA
Monsignor Bettazzi è morto nella notte di ieri. Aveva novantanove anni (di anni ne avrebbe compiuti cento il prossimo 26 novembre). Molti lo ricorderanno come il prete buono, progressista, democratico, il prete che stava accanto agli studenti e agli operai in lotta (lo potrebbero testimoniare quelli della Olivetti, della Lancia, del Cotonificio Vallesusa), che non temeva di discutere serenamente con i comunisti.
Ce ne sono stati altri di preti come lui nella storia della Chiesa e molti sono stati protagonisti della storia novecentesca e della cultura del nostro paese, da Zeno Saltini a Primo Mazzolari, da padre David Maria Turoldo a Camillo De Piaz, da Leonardo Boff (stava in Brasile ma quanto peso ebbe la sua Teologia della Liberazione nell’ispirare i movimenti politici non solo ecclesiali attorno al nostro Sessantotto), a don Milani, a don Enzo Mazzi, il parroco
dell’Isolotto di Firenze, che guidava gli “ultimi” approdati alla periferia del capoluogo toscano, ai preti che si batterono contro la mafia e che in questa battaglia persero la vita. Nomi citati giusto per intendere quanto vivo, dinamico, complicato sia stato e sia ancora il mondo cattolico, quanta capacità dialettica e quanta rivendicazione di un pensiero critico prosperassero, soprattutto in quella stagione post conciliare tra i Sessanta e i Settanta. Nel confronto con l’”autorità” del Vaticano.Anche monsignor Luigi Bettazzi era “autorità”, vescovo di Ivrea dal 1967. Ma era “autorità” che sarebbe impossibile ricordare ora senza quel sorriso bonario, senza quello sguardo gentile, senza l’impronta ironica delle sue espressioni. Nelle sembianze un po’ di parroco alle prese con i ragazzi dell’oratorio, un po’ di compagno di conversazioni d’alto valore religioso e morale. Per molti giovani “di sinistra” rappresentava una speranza: una speranza di solidarietà tra il mondo cattolico, sulla scia del Concilio di Giovanni XXIII, e il popolo dei comunisti italiani, della sinistra, ambiziosamente dell’intesa tra credenti e non credenti nel segno della giustizia sociale, della libertà, della fraternità, della pace.
La pace fu un pensiero costante di monsignor Bettazzi, una pace indissolubile dalla giustizia sociale. Nel 1968 fu nominato presidente nazionale, poi nel 1978 internazionale, di Pax Christi, movimento cattolico impegnato sul tema appunto della giustizia e della pace. La pace, quella di cui Bettazzi si fece profeta e portavoce con continui appelli, con l’invito fermo all’obiezione fiscale alle spese militari, con il sostegno all’“Educazione alla pace” per il quale fu insignito nell’1985 del Premio internazionale Unesco, con l’adesione alle iniziative pacifiste, con la marcia a Sarajevo nel 1992, nel pieno della guerra civile in Bosnia ed Erzegovina, fianco a fianco con don Tonino Bello, vescovo in Puglia e grande amico (già gravemente malato: sarebbe morto per un tumore l’anno successivo). Fino al’ultimo, quando nel maggio scorso, a Ivrea, partecipò ad una manifestazione per l’Ucraina. Esortò, come un video ancora racconta, a perseguire tre obiettivi: creare una mentalità nonviolenta, mettere in atto gli strumenti della diplomazia, sviluppare forze di interposizione. Con coraggio e originalità, contro tanto conformismo e tanto opportunismo. “Da sempre io sono per la non violenza”, diceva e denunciò, allora: “Pensate che l’Europa ha fatto il primo atto diplomatico per l’Ucraina dopo sessanta giorni di guerra”.
Di fronte ai comunisti italiani (il Pci guadagnava allora nei consensi) non alzò barricate. Nel luglio 1976 scrisse una lettera aperta indirizzata a Enrico Berlinguer: “Mi scusi questa lettera, che molti giudicheranno ingenua, e non pochi contraddittoria con la mia qualifica di vescovo. Eppure mi sembra legittimo e doveroso, per un vescovo, aprirsi al dialogo, interessandosi in qualche modo perché si realizzi la giustizia e cresca una più autentica solidarietà tra gli uomini. Il Vangelo, che il vescovo è chiamato ad annunciare, non costituisce un’alternativa, tanto meno una contrapposizione alla liberazione dell’uomo, ma ne dovrebbe costituire l’ispirazione e l’anima”.
Berlinguer gli rispose un anno dopo, formulando la definizione del Partito come “non teista, non ateista e non antiteista” e ringraziando pure il vescovo per aver sollevato problemi “la cui soluzione positiva è molto importante per l’avvenire della società e dell’Italia, per una serena convivenza fra tutti i nostri concittadini, non credenti e credenti, oltre che, in particolare, per lo sviluppo di quel dialogo, per amore del quale ha pensato di rivolgersi a me, come lei dice, in quanto segretario del Partito comunista italiano”.
Dialogo a distanza con Berlinguer
Monsignor Bettazzi, in una intervista al Giornale Radio, avrebbe poi dichiarato che la lettera di Berlinguer sviluppava una riflessione “ponderata” e “approfondita” su temi di grande rilevanza (i “rapporti più generali fra marxismo e cristianesimo, in particolare fra Partito comunista e cristiani”, e l’“organizzazione della società anche in ordine, per esempio, alle istituzioni assistenziali”), lettera, quindi, di cui “la comunità cristiana dovrebbe prendere atto”, per “approfondirla e continuare il dialogo” affrontato con “tanta serietà”.
Enrico Berlinguer
Ma, ancora, rivolgendosi a Berlinguer, Bettazzi sottoscriveva alcuni giudizi fondamentali sul partito comunista, ricordando, con una vena di polemica, un messaggio analogo rivolto a Benigno Zaccagnini: “Forse… era più ovvia la lettera che scrivevo, mesi fa, all’onorevole Zaccagnini, neo-segretario di un partito che ufficialmente si professa cristiano, che accoglie nella stragrande maggioranza persone che si dichiarano !spirate ad una ideologia cristiana, e che ha sempre riscosso una particolare attenzione da parte della gerarchia cattolica. Erano tutti motivi che mi suggerivano di esortare discretamente il Segretario di quel partito, non solo ad esigere una maggiore coerenza dai membri, e soprattutto dai responsabili, sul piano della competenza o dell’onestà personali, ma più ancora a impegnare il partito a dimostrarsi veramente ‘cristiano’, a mettersi quindi sul piano di una politica più aperta e più impegnata, in ordine alle esigenze della giustizia sociale e di una più effettiva uguaglianza di tutti i cittadini nei loro doveri. E’ per amore di dialogo che ora mi rivolgo a Lei, e in Lei a tutti coloro che hanno responsabilità nel Suo partito, e in generale a tutti coloro che vi hanno dato adesione, soprattutto col voto”. Spiegava Bettazzi: “Forse non ci si domanda abbastanza, nel ‘mondo borghese’ e in molta parte del nostro ‘mondo cattolico’, il perché di questo vostro successo, preoccupati, come siamo naturalmente, di ricordare la vostra ispirazione marxista, che da una parte si collega con il materialismo e l’ateismo e dall’altra si è troppo spesso aperta a dittature e a violenze, anche anti-religiose. Ci sono ovviamente fra voi marxisti convinti; ci saranno forse anche opportunisti, ma io penso ora a quanti hanno votato per voi ignorando o non condividendo la vostra visione della vita e della storia, e trascurando le forme concrete con cui i comunisti governano in altre parti del mondo, valutando invece la concreta, determinante efficacia della vostra lotta per tutte le conquiste sociali di questi decenni. Tanti, soprattutto operai, immigrati, diseredati, guardano a voi come a una speranza di rinnovamento, in una società in cui essi non trovano sicurezze per il loro lavoro, per i loro figli, per una loro sia pur minima influenza nelle decisioni che coinvolgono tutti. Penso a quelli che hanno votato per voi e sono cristiani, e non intendono rinunciare alla loro fede religiosa, che anzi – forse nella sofferenza per la disobbedienza alla gerarchia – pensano così di promuovere una società più giusta, più solidale, più partecipata, quindi più cristiana”. Non tutti, nella Chiesa, la pensarono come lui. Bettazzi fu aspramente criticato.
Il Patto delle Catacombe
Luigi Bettazzi era nato a Treviso. Si era trasferito da giovane a Bologna dove aveva ricevuto l’ordinazione sacerdotale il 4 agosto 1946. Si era laureato in Teologia alla Pontificia Università Gregoriana e poi in Filosofia all’Università degli Studi Alma Mater di Bologna. A Bologna, nel 1963, fu nominato vescovo ausiliare del cardinale Giacomo Lercaro. Accanto a Lercaro, potè vivere l’emozione del Concilio Vaticano II. Prese parte a tre sessioni, iniziando dalla seconda, il 29 settembre 1963. Un episodio lo riguarda: il 16 novembre 1965, pochi giorni prima della chiusura del Concilio, scese con una quarantina di padri conciliari, principalmente latinoamericani, nelle catacombe di Domitilla per celebrare una Eucaristia chiedendo fedeltà allo Spirito di Gesù. Tutti i vescovi firmarono il famoso Patto delle Catacombe con cui esortavano i “fratelli nell’Episcopato” a una “vita di povertà” per una Chiesa “serva e povera”, come chiesto da Giovanni XXIII.
Il Concilio Vaticano II
Concluse le assise conciliari, fu nominato vescovo di Ivrea. Prese possesso della diocesi il 15 gennaio 1967.
Nel 1978, nei giorni del rapimento Moro, assieme ai vescovi Clemente Riva e Alberto Ablondi, chiese di potersi offrire in ostaggio alle Brigate Rosse in cambio del presidente della Democrazia Cristiana. La richiesta, tuttavia, fu contrastata dalla Curia Romana e Bettazzi raccontò che, quando fece presente che si trattava di una vita umana e non di un fatto politico, ricevette in risposta la frase: “È meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera”.
Nel 1999 lasciò la guida della diocesi di Ivrea per raggiunti limiti di età, un passo che però non ne condizionò l’impegno e lo spirito “anticonformista”. Nel 2007 dichiarò apertamente il suo favore ai Dico, il disegno di legge cioè presentato dal governo Prodi sui “diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi”, comprese le coppie omosessuali. Nel 2018, sulla sedia a rotelle, era a Molfetta. Papa Francesco era in visita pastorale nei luoghi di don Tonino Bello. Strinse la mano al Papa argentino, il cui magistero proseguiva la linea del Vaticano II di Papa Giovanni. Lo disse lui, Luigi Bettazzi, forse l’ultimo testimone di quel Concilio.
strisciarossa.it, 17/7/2023
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