di Giusi Spica
«La politica di oggi, smemorata e revisionista, vuole depotenziare gli strumenti di lotta alla criminalità organizzata, favorendo le zone grigie e la borghesia mafiosa. Serve una presa di coscienza collettiva». È un atto d’accusa durissimo quello di don Luigi Ciotti, che è arrivato a Palermo per celebrare insieme a don Cosimo Scordato la messa privata che Manfredi Borsellino, figlio del giudice ucciso, ha organizzato nella chiesa di San Giovanni Decollato.
Che senso ha per lei questo anniversario?
«Sono sempre venuto e continuerò a farlo. Perché abbiamo la responsabilità di trasmettere la memoria alle nuove generazioni. La violenza sparsa deve porre domande, stupore e dubbi. Per me è fondamentale l’incontro con le vittime innocenti e le loro famiglie. L’eredità morale che ci ha lasciato Paolo Borsellino si chiama impegno e responsabilità civile. E ogni cittadino deve trovare il coraggio della ricerca della verità per costruire la giustizia».
«Sono preoccupato per i segnali della politica che mi sembra smemorata o revisionista. Una politica che vuole revisionare i pilastri della lotta alla violenza criminale, conquistati con il sacrificio di uomini e donne delle istituzioni. Temo ci sia una frenata per favorire l’impunità dei colletti bianchi, la zona grigia e la borghesia mafiosa. Si vogliono depotenziare gli strumenti di contrasto alle mafie. Per esempio, con la modifica del concorso esterno e del reato di associazione mafiosa».
Non è l’unico strumento che si
vuole modificare…
«È vero, si vuole anche abolire l’abuso di ufficio e limitare il diritto di cronaca del giornalismo d’inchiesta. Dimenticando che una corretta informazione è fondamentale, come ci ha insegnato un grande giornalista appena scomparso, Andrea Purgatori. Faccio fatica a capire anche la ratio della liberalizzazione dei subappalti, proprio alla vigilia dell’arrivo di tanti fondi pubblici che fanno gola alle mafie, e le modifiche costituzionali per la separazione delle carriere dei magistrati col rischio che le procure diventino subordinate alla politica. Ecco perché nel 75 per cento degli italiani c’è rassegnazione e sfiducia verso la politica».
Qual è lo stato di salute delle mafie?
«C’è più droga e più gioco d’azzardo, eppure si allentano i meccanismi di contrasto. I boss ormai sono imprenditori, manager, professionisti. Investono nell’immobiliare e sono in grado di aprire banche. Hanno creato una cabina di regia unica per il riciclaggio del denaro. Ecco perché bisogna affinare gli strumenti di contrasto e non depotenziarli».
Anche l’Antimafia è divisa, come emerso per le commemorazioni delle stragi. Che ne pensa?
«Penso che la parola antimafia vada cancellata o posta in quarantena permanente. È come il cavallo di Troia dove si nascondono personaggi dediti al malaffare. L’antimafia è stata usata e abusata. Ci sono persone che hanno abusato di questa parola antimafia ma erano più preoccupate di gestire potere e affari a scapito dei cittadini onesti. Mi auguro che queste ferite si ricompongano. Certo, non è facile quando vediamo che personaggi che sono stati collusi con mafia e massoneria deviata vengono a celebrare le vittime».
Si riferisce a Cuffaro o Dell’Utri, tornati a fare politica dopo le condanne?
«Non è un problema che riguarda solo la Sicilia. Ce ne sono tanti che siedono anche nel Parlamento nazionale. Bisognerebbe che queste persone stessero lontane dalla politica e invece si ripropongono, non hanno più quel ruolo attivo ma diventano punti di riferimento. Da sotto collaborano, spingono, determinano scelte. Va bene riabilitarsi, ma non si può tornare in certi contesti. I partiti dovrebbero darsi un codice etico».
È l’anno dell’arresto di Messina Denaro. Un motivo in più per celebrare la memoria delle vittime?
«La festa per l’arresto di Messina Denaro non deve far dimenticare che quella latitanza denuncia altre latitanze. Che cosa non è stato fatto? Penso a quando Giuseppe Linares, capo della squadra mobile di Trapani, era sulla pista giusta ed è stato cacciato, così come il prefetto Fulvio Sodano che cercava di ostacolare il ritorno dei beni confiscati nelle mani dei boss. L’unico a pagare è stato il senatore D’Alì, ma tanti andavano a braccetto con lui».
Cosa serve per contrastare la mafia nella società?
«Serve una presa di coscienza collettiva delle ricadute della peste mafiosa sulla vita di tutti. Il grande lavoro di forze di polizia, magistratura, prefetture non basta da solo. Gli obiettivi della chiesa sono di ordine morale e spirituale ma ogni cristiano è chiamato anche a un impegno per costruire libertà e giustizia sulla terra».
La Repubblica Palermo, 20/7/2023
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