sabato, giugno 24, 2023

L’INAUGURAZIONE. “Macelleria Palermo”. Quando le strade raccontavano l’orrore


Si è aperta oggi la mostra della coppia di fotoreporter Lannino e Naccari che in 44 immagini ricostruiscono gli anni bui della città 

di Roberto Leone

Viaggio nella città mattatoio per ricordare quegli orrori oggi dimenticati da molti, se non, per i più giovani, ancora sconosciuti. Quarantaquattro foto tutte in bianco e nero per quarantaquattro delitti avvenuti a cavallo degli anni Ottanta e Novanta, tra le guerre di mafia e le stragi che hanno sfigurato il volto della “Palermo felicissima”. Una mostra il cui catalogo ha in copertina non un cadavere, ma i segni col gesso lasciati sull’asfalto dopo che l’uomo ucciso è stato rimosso e che porta il “warning”, quello che sui social individua i contenuti che possono essere di disturbo. 

“Macelleria Palermo” di Franco Lannino e Michele Naccari sarà inaugurata oggi alle 16.30 in via del Fervore 15 nei locali dello studio degli architetti Prestileo Bianco. «Non dobbiamo ringraziare nessuno, se non chi ci ospita» , spiega subito Franco Lannino che aggiunge: «Non abbiamo voluto aiuti né sponsor, perché pensiamo che mettere in mostra questi cadaveri che raccontano un pezzo drammatico della storia di Palermo non abbia necessità di finanziamenti». E sul perché, dopo tanti anni, lui e Naccari, coppia di ferro di Studiocamera che ha fornito per decenni materiale visivo non solo ai giornali palermitani ma anche a tante testate nazionali, è molto chiaro: «Mi è capitato, parlando con una persona, nemmeno tanto giovane, diciamo sui quarant’anni, di raccontare quanto era successo in questa città alla fine del secolo scorso e con sorpresa ho appreso che lui non sapeva niente, non aveva idea delle decine di omicidi avvenuti sulle strade palermitane durante la guerra di mafia, quando c’era almeno un delitto al giorno, se non due o tre, sino ad arrivare alle stragi della primavera- estate del 1992. Allora mi è sembrato il momento giusto di coprire questo vuoto e di fare conoscere anche ai tanti giovani che non studiano questa parte di storia contemporanea e che non hanno neanche la voglia o il tempo di andare in biblioteca a sfogliare le collezioni dei giornali dell’epoca, di dare delle immagini che possono essere eloquenti di quello che succedeva e che per fortuna oggi non accade più». 
E sul titolo rintuzza i rilievi che sui social lo invitavano al più popolare “Carnezzeria Palermo”. «Ma quella è una bottega dove si vende anche la fettina. No, qui parliamo proprio di un macello, noi ci occupavamo di pezzi di carne, lasciati per strada come fossero quarti di bue». 
Il racconto per immagini di Franco Lannino e Michele Naccari ci riporta nel tunnel dell’orrore degli anni Ottanta, quando cronisti e fotografi vivevano con l’orecchio attaccato alle radioline ( illegali ma tollerate) sintonizzate sulle frequenze di polizia e carabinieri. Bastava una conversazione particolarmente vivace, una voce concitata per fare scattare l’allarme e innescare telefonate alle centrali operative per cercare informazioni più precise suquello che era successo. Poi magari sempre dallo scanner, che viaggiavavelocissimo sulle onde radio delle volanti, arrivava anche un’indicazione sul luogo in cui era avvenuto il fatto. 
«E così partivamo — racconta Franco Lannino — e si cercava di arrivare prima degli altri per avere le immagini migliori e poter tornare nei laboratori a stampare e consegnare le foto in redazione» . Poi c’erano i colpi, gli scoop, come quello della foto a Giovanni Brusca, merito della tenacia e delle conoscenze di Michele Naccari alla squadra mobile di Palermo: «Rimase chiuso là dentro 24 ore — ricorda Lannino — per riuscire a beccare il superlatitante appena catturato prima che andasse in carcere e fu un colpo sensazionale. Per quella foto riuscimmo a incassare sette milioni di lire vendendola al settimanale Gente». 
E molte di quelle immagini, come racconta la copertina del catalogo ( c’è anche un’audioguida che vienedistribuito gratuitamente ai visitatori della mostra), oggi non potrebbero essere pubblicate perché sarebbero di grave turbamento per la quantità di sangue, per l’orrore mostrato in primo piano. Scene che, però, oggi ci ridanno perfettamente l’idea di quella che era la Palermo insanguinata degli anni Ottanta, dei 150 morti scanditi sulla prima pagina del giornale L’Ora con i numeri crescenti, dei cadaveri incaprettati ritrovatinei portabagagli delle auto, delle scene da Beirut provocate dall’autobomba che uccise il giudice Rocco Chinnici in via Pipitone Federico, sino ad arrivare alla stagione di speranza del maxiprocesso nel 1986. 
Le ultime foto, naturalmente, riguardano la fine del secolo dopo le stragi del 1992. « Per Capaci non eravamo ancora attrezzati per stampare a colori e quindi le prime immagini le mandammo in bianco e nero» . Cinquantasette giorni dopo però Studiocamera aveva il kit per stampare a colori i terribili scatti dell’inferno in via D’Amelio. E lì che si chiude un cerchio. 
Gli anni seguenti segnano anche la fine del periodo stragista di Cosa nostra e, conclude Lannino, «anche del ritorno a una città più normale dove è bello fare questo lavoro perché ogni giorno si può occupare di qualcosa di diverso». 
La Repubblica Palermo, 24/6/2023


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