di DANIELE BILLITTERI
Cominciamo da un doveroso “parce sepulto” che non si nega (quasi) a nessuno. Il rispetto per il defunto, suggerito da Virgilio, vale anche per Silvio Berlusconi, d’ora in avanti Berlusca, che se n’è andato quasi a sorpresa poche ore fa.
Sono già in piena esplosione tutti i panegirici possibili. Gli amici e sodali piangono l’amico e il sdodale. I nemici tirano fuori i capi di imputazione giudiziari e morali, messi a punto ormai da anni. Nei giornali già pronti da tempo i “coccodrilli” compresa la pianificazione del numero di pagine, di titoli, le foto già scelte perché spesso una foto racconta più di un articolo.
Si potrebbe cominciare col Giulio Cesare di Shakespeare: amici, romani, ascoltatemi: sono venuto a seppellire Berlusca non a lodarlo. Ma vi risparmio la lunga lista dei meriti arcinoti che gli sono attribuiti: sdoganatore del liberalismo laico, innovatore nella comunicazione, mina vagante nell’ingessato club della dipolomazia internazionale re Mida dello Sport, generoso (ma mai silente) benefattore. Tutto vero, carta canta, e pure la storia. Nessuno gli toglierà questo meriti. Se meriti sono.
Già, perché c’è anche un altro modo per guardare a questi ultimi trent’anni di vita dell’Italia, quelli dove l’orma di Berlusca è lasciata non nella sabbia ma nel granito. Lasciate dunque che aggiunga la mia insignificante particella al vento emozionato dei commenti che soffierà su di noi per giorni e giorni tra servizi, dirette, intitolazioni.
Io penso che:
Il genio di Berlusconi è quello di avere capito (per simpatia) il peggio degli italiani. Gli italiani sono individualisti, refrattari a quello che la Meloni chiama “il pizzo di stato”, cioè le tasse, quando sono maschi sono inclini alle benevolenza (e all’iunvidia) per chi “si fa l’amante” senza rispettare la moglie e nemmeno l’amante. Perché la donna è merce e si compra per possederla. Tristi i poveri che invece di comprare debbono rapinare e per tenersi le prede poi magari le uccidono. Indignarsi per i “bunga bunga”? Giammai. Milioni di italiani hanno invidiato Berlusca pensando che essere un po’ puttanieri non è poi così male. Basta non dirlo al parrino scegliendo accuratamente a chi strizzare l’occhio d’intesa.
Un popolo che adora le barzellette sporche e il cabaret a tanto al chilo, un popolo che invidia i furbi e si sente scemo, un popolo capace di passare da un plebiscito a un altro. Sia che si tratti del calcio che della politica. Tutti questi Berlusca li ha capiti e li ha usati a mani basse.
Tutti così? Ovviamente (e per fortuna) no. Ma i numeri sono alti e quelli ha capito il Berlusca, e a quelli ha parlato trovando ampia audience.
Le inchieste giudiziarie per corruzione e evasione fiscale, le espulsioni dal Parlamento, la vicenda di Ruby Rubacuori e delle Olgettine: sentenze pesanti. Giustizia? Non proprio, se ogni sentenza si è spesso trasformata in una medaglia da combattente sul petto dell’Italiano da paradigma. Perché quando il gioco si fa furbo, i furbi cominciano a giocare e Berlusca, il più furbo di tutti, è riuscito a trasformare tutti questi cromosomi del suo popolo in una politica e in una cultura che solo negli ultimi anni è entrata in crisi segnando la parabola discendente della sua frazione, Forza Italia con un elettorato che è passato sotto le più sicure mani di Giorgia Meloni. La probabile conseguenza di questo è che, venuto meno il condottiero, ci sarà una sorta di 8 settembre del suo partito: tutti a casa. E così anche da morto, Berlusca rimarrà il Numero Uno. Nel senso di Uno. E basta.
Non credo avesse un’anima (controindicata in certi contesti) ma, nel caso, sono certo che non abbia bisogno che le auguri pace perché non credo sia mai stata attraversata dal turbamento. Ma rivolgo volentieri condoglianze alla famiglia per queste ingombranti spoglie che avranno bisogno di molti notai per essere distribuite come si deve.
L’Ora, edizione straordinaria, 13/6/2023
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