Un manifestante bloccato dalla polizia
di Alessia Candito
Due serpentoni separati: uno diretto all'Albero Falcone, l'altro no perché bloccato dalla questura
Caschi con le visiere abbassati, scudi su, manganelli che arrivano sulle schiene dei manifestanti. In fondo alla strada la foto di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sorridenti.
Alta tensione alla commemorazione della strage di Capaci. Un fitto cordone di polizia ha tentato di bloccare il corteo promosso da associazioni studentesche. realtà sociali e Cgil, che nel pomeriggio ha sfilato per le vie di Palermo. A disporlo, il questore Leopoldo Laricchia, che con un’ordinanza ha intimato a studenti e lavoratori di non raggiungere l’Albero di Falcone, luogo simbolo della città in cui ogni anni il 23 maggio alle 17.58 viene ricordata la strage e di non “arrecare disturbo o alcuna altra turbativa alla cerimonia". Lì da programmi avrebbe dovuto avere libero accesso solo la manifestazione organizzata dalla Fondazione Falcone.
Risultato, quando oltre duemila persone sono arrivate nei pressi di via Notarbartolo, nella zona dell’Albero, hanno trovato schierato un fitto cordone di polizia. Per altro, molto prima di quanto concordato in mattinata.
Ed è stato il caos, con le forze dell’ordine che per due volte hanno spintonato e malmenato i manifestanti per cercare di impedire loro il passaggio. Solo dopo oltre venti minuti di altissima tensione il corteo è riuscito a passare, fra gli sguardi allibiti dei pochi che già avevano raggiunto l’area. “Volevano impedirci di venire qui, evidentemente hanno la coscienza sporca”, dice una ragazza, poco prima volata a terra dopo lo spintone un poliziotto, alla mamma di una piccolissima scout, arrivata con il primo corteo.Al corteo ufficiale, niente grandi numeri. Il corteo è esile, colorato di bandiere di Libera e cartelli. Ad aprirlo,una rappresentanza di baby sindaci, studenti provenienti da tutte le scuole d'Italia muniti di fascia tricolore, e il primo cittadino del capoluogo, Roberto Lagalla, subito dietro lo striscione "insieme contro le mafie". Come sempre, a salutare il passaggio degli studenti, sulle facciate dei palazzi decine di lenzuola bianche diventate ormai il simbolo della lotta alla mafia.
Dall'altra parte del centro invece, in marcia si mettono millecinquecento persone, forse duemila. Chiamati in piazza da associazioni studentesche e Cgil, sfilano dietro ad uno striscione che recita "non siete Stato voi, ma siete stati voi".
Attraversando la città, chiedono verità e giustizia sulle stragi degli anni Novanta e non solo, chiedono diritti - alla casa, allo studio, al lavoro, alla sanità, a un ambiente sano e sicuro - che sottraggano terreno alle mafie, brave a trasformarli in privilegi. E per la questura di Palermo sono così pericolosi da non poter accedere "per motivi di ordine pubblico" all'area dell'Albero Falcone, dove alle 17.58 verrà ricordato il momento della strage.
Eppure a sfilare ci sono le facce pulite di studenti di licei, istituti tecnici e università, quelle stanche dei lavoratori che sfilano sotto le bandiere della Cgil, quelle attente, determinate degli attivisti. In piazza c'è anche Luisa Impastato, la nipote di Peppino, in fondo al corteo si da vedere l'ex sindaco Leoluca Orlando. "Nella terra di Di Vittorio, si considera pericoloso il sindacato. Si comincia sempre così". Su un Fiorino bardato di bandiere Cgil, appare una riproduzione della Sacra famiglia che ha i volti di Giorgia Meloni e Francesco Lollobrigida e attorno gli adoranti Berlusconi, Dell'Utri, Schifani, Lagalla. "Finirà questo sistema patriarcale, classista e sessista che non ci rappresenta, come finirà la collusione fra Stato e mafia", urla una studentessa al megafono.
“Le istituzioni hanno il diritto di parlare di antimafia se recidono ogni contatto con quegli ambienti, se si sporcano le mani nei quartieri. Oggi il sindaco Roberto Lagalla ha detto che le istituzioni devono dare l’esempio. Ma che esempio arriva da lui, che da oltre un anno non ha preso le distanze da Cuffaro e Dell’Utri che l’hanno appoggiato. Ma che Stato è quello che considera le carceri una discarica sociale, che dice con una sentenza, quella sui carabinieri del Ros Mori e De Donno, che la trattativa con le mafie va bene se è nell’interesse nazionale”, urla al megafono Marta di Our Voice.
"Fuori la mafia dallo Stato" urla a più riprese il corteo. E finirà per urlarlo anche sotto il palco, quando finalmente riuscirà a raggiungerlo. "Fascisti, vergognatevi", gridano i manifestanti che a fatica si mischiano fra le prime file. Dal palco, imbarazzati, possono solo chiudere in fretta dopo il canonico minuto di silenzio.
La Repubblica, 23/5/2023
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