di SANDRA FIGLIUOLO
La mafia ce l'aveva in casa e, peraltro in anni particolarmente bui, non esitò tuttavia a prenderne con coraggio le distanze. Usò una delle armi più potenti contro Cosa nostra: la cultura e, soprattutto, l'ironia dissacrante per polverizzare il potere e l'arroganza dei boss.
Peppino Impastato, al quale il titolo di giornalista è stato riconosciuto d'ufficio post mortem, attivista e membro di Democrazia Proletaria nella piccola Cinisi, pagò con la vita la sua ribellione alla mafia e la sua costante denuncia, soprattutto attraverso i microfoni di Radio Aut, di tanti traffici illeciti: esattamente 45 anni fa - il 9 maggio del 1978 - il suo corpo venne ritrovato in brandelli vicino ai binari della ferrovia Palermo-Trapani.
Il professore Paolo Procaccianti (nella foto), che da medico legale di autopsie nella Palermo insanguinata degli Ottanta e Novanta ne ha fatte a centinaia, ricorda nitidamente quel giorno, quando andò sul luogo del delitto assieme al suo Maestro, Ideale Del Carpio: "C'erano ancora una parte dei resti di Impastato, nel casolare accanto alla ferrovia trovai una pezzuola nera, quella in cui probabilmente fu avvolto l'esplosivo utilizzato per ucciderlo". Perché, anche se ci volle quasi un quarto di secolo per arrivare, nel 2002, alla condanna all'ergastolo del capomafia Gaetano Badalamenti ("Tano Seduto", come lo chiamava Impastato) per l'omicidio, nella relazione consegnata alla Procura da Del Carpio e Procaccianti subito dopo i fatti gli elementi per comprendere c'erano già.Paolo Procaccianti
La tesi dominante per anni è stata invece che Impastato, da militante di Sinistra, fosse morto mentre stava preparando un attentato e, successivamente, in seguito al ritrovamento di una lettera, che si fosse suicidato. Il caso non ebbe la giusta eco a livello nazionale perché proprio il 9 maggio del 1978 venne ritrovato in via Caetani, a Roma, il cadavere del presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, eliminato dalle Brigate Rosse dopo il sequestro avvenuto il 16 marzo precedente e la prigionia. A livello locale, tuttavia, il cronista giudiziario del Giornale di Sicilia, Mario Francese (ucciso anche lui da Cosa nostra, il 26 gennaio del 1979) non esitò a dar voce alla madre di Peppino Impastato, Felicia Bartolotta, ed ai suoi compagni e amici, indicando subito la pista dell'omicidio.
"Non venni mai sentito - racconta Procaccianti - se non dopo tantissimi anni dal sostituto procuratore Franca Imbergamo che mi disse: 'Ma voi l'avevate scritto...'. In effetti tra le righe della nostra relazione autoptica mettevamo in luce delle discrepanze. Allora però la medicina legale era agli albori e prevalevano comunque le ricostruzioni investigative". Sembra strano, visto il ruolo centrale che hanno invece oggi gli accertamenti autoptici nei processi, pensare che all'epoca certi elementi, per nulla secondari e soprattutto di natura scientifica, potessero essere ritenuti poco rilevanti. "Mi fu utile - spiega ancora Procaccianti - l'aver partecipato qualche anno prima all'autopsia dell'editore Giangiacomo Feltrinelli (morto nel 1972 a Segrate mentre cercava di installare una bomba, ndr)".
"Il clima di quegli anni - ricorda ancora il professore - era pesante e si preferì la pista terroristica, anche perché Impastato era un militante di Sinistra, e l'ipotesi che stava preparando un attentato per distruggere lo Stato, piuttosto che quella mafiosa". Anche se gli elementi per pensare che Cosa nostra non gradisse la satira, gli attacchi costanti e le potenti denunce di Peppino Impastato c'erano tutti. Ma il Maxiprocesso, in quel 1978, era ancora lontano.
Come anni dopo venne ricostruito, il giornalista venne colpito con un sasso e ucciso (la pietra venne ritrovata a pochi metri di distanza con tracce di sangue di Impastato) e poi fatto saltare in aria col tritolo per simulare un attentato fallito o un suicidio. Più recentemente venne anche aperta un'inchiesta sul depistaggio iniziale nelle indagini sulla morte di Impastato a carico dell'allora maggiore dei carabinieri Antonio Subranni, del brigadiere Carmelo Canale e dei marescialli Francesco Di Bono e Francesco Abramo. Il fascicolo fu archiviato nel 2018 dal gip Walter Turturici anche perché le accuse di favoreggiamento aggravato e falso furono dichiarate prescritte.
Palermo Today, 9/5/2023
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