Francesca Morvillo e Giovanni Falcone
di ALFREDO MORVILLO
Borsellino invitava a rifiutare “il puzzo del compromesso morale”. Ma oggi aver fatto accordi con la mafia viene ritenuto da tutti disdicevole?
Quando si affronta il tema di mafia e antimafia, la premessa sulla quale sembra che tutti siamo d’accordo è che la mafia sia la principale responsabile dello stato di degrado in cui versa la Sicilia. In termini di bassi livelli di istruzione scolastica, grave disoccupazione, sfruttamento dei lavoratori in nero, arretratezza culturale, scarso o quasi nullo interesse da parte della grande imprenditoria, emigrazione di tanti validissimi giovani in altre parti d’Italia o all’estero, nonché frequenti condizionamenti illeciti di ogni aspetto della vita dell’Isola, con particolare riferimento all’attività della pubblica amministrazione, alla gestione del denaro pubblico e alle consultazioni elettorali.
La lotta alla mafia in questa terra dovrebbe essere un problema di importanza primaria, dovrebbe venire prima di qualunque interesse di singoli cittadini o di gruppi, prima di interessi legati al raggiungimento di poltrone istituzionali del tanto agognato potere, di fronte al quale tanto perdono il lume della ragione.
Volendo esaminare lo stato della lotta alla mafia dopo oltre trent’anni dalle stragi, bisogna ancora una volta sottolineare che non di può ritenere che dia soltanto un problema di repressione, ma è altresì un problema sociale, culturale, è un modo di vivere.
Il momento repressivo ha raggiunto ormai livelli di efficienza mai conosciuti in altre epoche. Forze dell’ordine, magistratura e quella parte dello Stato che ha il merito di aver introdotto una legislazione antimafia certamente adeguata alla gravità del fenomeno hanno consentito di raggiungere risultati di eccezionale importanza. Lo Stato, con l’arresto di tutti gli uomini di Cosa nostra latitanti e con l’individuazione e condanna di tanti altri “uomini d’onore”, ha certamente pagato il suo debito nei confronti di tutti quei suoi servitori che hanno pagato con la vita il proprio impegno nella lotta alla mafia. Il secondo imprescindibile aspetto della lotta alla mafia è quello sociale e conseguentemente politico, che coinvolge la cosiddetta società civile. In proposito giova ricordare le illuminate parole di Paolo Borsellino: «La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte proprio perché meno appesantite dai condizionamenti e dai ragionamenti utilitaristici che fanno accettare la convivenza col male, le più adatte cioè a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della contiguità e quindi della complicità».
Paolo Borsellino faceva esplicito riferimento alla necessità di un movimento culturale e morale.
Attuare un comportamento eticamente disdicevole, come quello di fare accordi con la mafia,dovrebbe comportare, al di là della sanzione penale, una valutazione negativa del consesso sociale, a patto che quest’ultimo creda in quei principi etici violati.
A Palermo aver fatto accordi con la mafia viene ritenuto da tutti un fatto disdicevole? Aver fatto accordi con la mafia dovrebbe significare aver tradito la propria terra, le proprie origini; chi lo ha fatto dovrebbe essere considerato un traditore. Accade tutto questo a Palermo? Aggiungeva Paolo Borsellino che, in un breve periodo di entusiasmo, conseguente ai numerosi arresti originati dalle dichiarazioni di Buscetta, Giovanni Falcone gli disse: «La gente fa il tifo per noi». Oggi, nel 2023, nella terra delle stragi, nella terra dove Cosa nostra ha ucciso tanti uomini delle istituzioni, tutti eccezionali servitori dello Stato, tanti comuni cittadini, persino un bambino e addirittura un sacerdote, possiamo ritenere che la gente faccia il tifo per Falcone e Borsellino, cioè per l’antimafia? Consentitemi di avere seri dubbi. Palermo, per la sua storia che tutti conosciamo, dovrebbe essere la capitale dell’antimafia, la capitale di una vera cultura antimafiosa. Invece continua a essere, nonostante i grandi risultati raggiunti da forze dell’ordine e magistratura, la capitale del solito squallido compromesso politico-mafioso, che ha sempre inquinato la vita della città. Che fine ha fatto «la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della contiguità e quindi della complicità»? Credo che se ne sia persa la traccia. Se si vuole concretamente dare un seguito alle parole di Paolo Borsellino, dobbiamo adoperarci per tenere lontano dalla nostra vita tutto ciò che ha anche il più lieve odore di mafia. Anche quando queste scelte comportano la rinuncia a godere di quegli aiuti, di quegli appoggi che ben noti ambienti politico-mafiosi sono in grado di assicurare.
La cultura mafiosa non riguarda solo la mentalità dei criminali, degli uomini di Cosa nostra, ma ha un’accezione più ampia poiché con essa si intende la negazione delle regole sociali a favore delle regole private e di gruppi, quella rete di rapporti stratificata nel tempo fatta di scambio di favori, appoggi elettorali, gestione del potere amministrativo indirizzata al perseguimento di interessi di singoli o di gruppi, a discapito degli interessi della collettività. In questo cammino nella strada dell’antimafia i cittadini dovrebbero trovare nelle istituzioni, che essi stessi hanno voluto, una guida indiscussa eautorevole, che voglia e sappia indicare loro la direzione da seguire. Purtroppo, invece, troppo spesso i cittadini ricevono dall’alto segnali che invitano a convivere con ambienti notoriamente in odore di mafia. Non c’è alcun segnale che in questa terra sia di primaria importanza liberarsi della cappa mafiosa, a qualunque costo.
Dalle nostre parti l’unica cosa che conta è raggiungere il potere, a qualunque costo.
Falcone e Borsellino appartengono soltanto a una piccola parte di Palermo, quella Palermo che porta avanti con grande impegno i loro ben noti ideali. I nostri cari indimenticabili Giovanni e Paolo non appartengono certamente alla Palermo che convive col «puzzo del compromesso morale», della indifferenza, della contiguità e quindi della complicità.
Questa Palermo abbia la coerenza di non partecipare alle commemorazioni: non lo merita la città, non meritano Falcone e Borsellino che il loro ricordo sia macchiato dalla rituale presenza di personaggi che non tralasciano occasione per propagandare la convivenza politico-sociale con ambienti notoriamente in odore di mafia. Dovremmo tutti ricordare e capire il significato delle bellissime parole pronunciate da Paolo Borsellino, ricordando Giovanni Falcone: «La sua vita è stata un atto d’amore verso la sua città, verso questa terra che lo ha generato.
Perché se l’amore è soprattutto ed essenzialmente dare, per lui e per coloro che gli sono stati accanto in questa meravigliosa avventura, amare Palermo e la sua gente ha avuto e ha il significato di dare a questa terra qualcosa, tutto ciò che era ed è possibile dare delle nostre forze morali, intellettuali e professionali per rendere migliore la città e la patria cui essa appartiene».
La Repubblica Palermo, 21/5/23
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