Alle ore 10.45 alla Chiesa di S. Anna si terrà un dibattito dal titolo “La mafia ieri e oggi”. Intervengono Roberto Baragona, Mario Filippello segretario regionale Cna pensionati, Dino Paternostro, responsabile dipartimento Archivio e memoria storica Cgil Palermo, Emilio Miceli, segretario nazionale Cgil, Antonio Balsamo, giudice di Cassazione (in collegamento streaming). Modera Vito Lo Monaco, presidente onorario Centro studi Pio la Torre. Partecipano gli studenti dell’istituto comprensivo M.V. Arrigo di Sciara e degli Istituti secondari di secondo grado di Caccamo.
“Ricordare oggi Salvatore Carnevale e mamma Francesca significa fare memoria di una delle pagine più belle ed eroiche della resistenza alla mafia del movimento sindacale e dei siciliani onesti – dichiarano la segretaria Cgil Palermo Laura Di Martino e Dino Paternostro, responsabile dipartimento Archivio e memoria storica Cgil Palermo - Salvatore Carnevale e sua mamma, Francesca Serio, ancora oggi ci insegnano a non chinare la testa davanti ai prepotenti e ai criminali. Ci insegnano a lottare con determinazione per rendere più umane le condizioni di vita e di lavoro, per l'affermazione dei diritti, del salario contrattuale e della sicurezza sui posti di lavoro”.
Il 16 maggio 1955, la mafia uccide Salvatore Carnevale, socialista, sindacalista della Cgil, fondatore e segretario della Camera del lavoro di Sciara (Palermo). Un altro delitto che scuote il termitano, a tre anni dall’assassinio di Filippo Intili. Carnevale si stava recando al lavoro presso una cava, in contrada Cozze Secche, nella proprietà dei Notarbartolo, gestita dalla Lambertini, impresa emiliana, che forniva materiale inerte per il raddoppio della ferrovia della tratta di Termini.
Erano le cinque e mezza del amttino. Qualcuno lo chiamò per nome. Carnevale fece in appena in tempo a girarsi per vedere degli uomini armati di fucile venirgli incontro in mezzo alle spighe di grano, come ricostruisce Dino Paternostro, nel libro “La strage più lunga”, sui dirigenti sindacali e attivisti del movimento contadino e bracciantile caduti nella lotta contro la mafia 1893-1966.
I primi due colpi lo ferirono al fianco destro. Poi gli furono sparati altri quattro colpi, di cui uno alla testa e l’altro alla bocca, i colpi di grazia. “Me l'hanno ammazzato perché difendeva tutti, il figlio mio, il sangue mio. Gli assassini vada a cercarli tra i suoi amici dipendenti della principessa Notarbartolo”, urlò Francesca Serio in faccia al brigadiere. Il processo iniziò il 18 marzo 1960 e si concluse il 21 dicembre 1961, con la condanna all’ergastolo di tutti e quattro gli imputati: l’amministratore del feudo Giorgio Panzeca, il soprastante Luigi Tardibuono, il magazziniere Antonino Mangiafridda e il campiere Giovanni Di Bella. Ma il processo di appello, svoltosi a Napoli dal 21 febbraio al 14 marzo 1963, e quello in Cassazione, ribaltarono la sentenza di primo grado, assolvendo tutti gli imputati per insufficienza di prove. Francesca Serio commento: “Me l’hanno ammazzato una seconda volta”.
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