Nel commiato il presidente ricorda i colleghi caduti per mano mafiosa: «Catturato Messina Denaro, l’impunità viene meno»
Umberto Lucentini
«Fin dal mio ritorno a Palermo ho incontrato tutta una serie di colleghi che rappresentano una continuità familiare e ideale dei nostri fari. Penso a Rocco Chinnici, a Cesare Terranova, a Giovanni Falcone, a Paolo Borsellino. E ho subito visto una fortissima base di valori e principi morali, un quadro che unisce l’avvocatura e la magistratura»: nel giorno del suo commiato come presidente del tribunale - e con la premessa che fa sorridendo, «tanto io continuerò ad abitare in città...» - Antonio Balsamo dà un saluto a una folla di colleghi requirenti e giudicanti, personale amministrativo e cancellieri, avvocati che si radunano nell’aula della seconda sezione civile del palazzo di giustizia.
Arrivato alla presidenza del tribunale il 20 luglio 2021, Balsamo lascia adesso dopo il ricorso vinto dal collega Piergiorgio Morosini e la designazione unanime della commissione del Csm quale unico candidato alla prestigiosa poltrona.
Balsamo ha una lunga carriera alle spalle, tanti rapporti professionali e di amicizia, e tra lunghi applausi e qualche lacrima che fa capolino tra i presenti, parte con una premessa: «Qui ho percepito una grandissima attenzione verso gli ultimi, le persone deboli». Parla della «grande lezione che abbiamo ricevuto da queste persone, i fari che abbiamo avuto e che hanno lasciato il segno nella nostra storia giudiziaria», dice riferendosi ai colleghi caduti nella lunga stagione di delitti e stragi di Cosa Nostra.
Balsamo tornerà alla Corte di Cassazione come sostituto procuratore generale, e intanto dice: «Io vorrei ringraziare di cuore il mondo dell’avvocatura perché ho avuto un’esperienza estremamente positiva di collaborazione continua». Fa una lunga serie di esempi, «penso all’ultima esperienza dello Sportello della messa alla prova che anticipa il tema delle sanzioni sostitutive, a una giustizia di prossimità che significa vicinanza ai bisogni delle persone».
La sua cifra alla guida dell’ufficio - dove è arrivato dopo aver presieduto tra l’altro la Corte d’assise di Caltanissetta e i processi Capaci bis e Borsellino quater, che hanno ricostruito la strategia del terrorismo mafioso e i depistaggi - è stata sempre improntata al confronto: «È importante costruire attraverso un dialogo continuo quella capacità di fare una valutazione di impatto delle riforme, che può costituire la condizione fondamentale» per contribuire al «cantiere aperto sulla giustizia». Un pensiero va ai colleghi come il presidente della Corte d’Appello, Matteo Frasca, e al procuratore generale Lia Sava e al suo riferimento «all’attenzione verso gli ultimi». Poi ai giorni che hanno seguito l’arresto di Matteo Messina Denaro: «Ho percepito all’estero che l’immagine dell’Italia ha goduto di una stima altissima. Palermo era al centro delle aspettative di chi vuole riscrivere la storia e vede venir meno l’impunità». E cita i colleghi che fanno parte della sua generazione, a partire da Maurizio de Lucia», al quale accosta le parole di Giovanni Falcone: «Quando lo Stato fa sul serio la lotta alla mafia nel rispetto del diritto...».
Riferimenti importanti che gli vengono ricambiati. Dice la Sava: «Antonio Balsamo, il presidente Balsamo, ha reso il palazzo di giustizia una casa di vetro». Aggiunge Frasca: «È stato mio uditore, “la tua cultura e le tue risorse sono sprecate in magistratura”, gli dissi scherzando». Rilancia De Lucia: «Un magistrato intellettuale e raffinatissimo, un uomo a tutto tondo». E se Angela Augello, direttore amministrativo, gli riconosce «capacità multitasking», il presidente dell’Ordine degli avvocati, Dario Greco, lo paragona «a un Messi o a un Ronaldo della magistratura». Le parole che lascia Balsamo sono, in effetti, da fuoriclasse del diritto con un’esperienza preziosa dal punto di vista personale e professionale, anche in tema di misure repressive o alternative: «Dobbiamo dare concretezza - conclude - a quello che disse Carlo Alberto Dalla Chiesa venendo a Palermo. “Fare sì che le persone che la mafia ha reso dipendenti da sé diventino gli alleati della legalità”».
GdS, 5/4/2023
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