Il boss mafioso Totó Riina |
Il pentito Lorenzo Cimarosa cugino di Matteo Messina Denaro svelò che uno dei due giovani cercava il latitante tramite un boss. Forse voleva recuperare dei beni? Il nome di Bellomo era nei pizzini di Provenzano Il padrino di Corleone lo segnalò al boss Lo Piccolo quando il giovane vendeva detersivi. Per molti anni Ciavarello ha vissuto in Puglia. Alcune sue società di ricambi per auto sono state sequestrate dai carabineri del Ros
di Salvo Palazzolo
Hanno cercato fortuna all’estero le figlie di Salvatore Riina, con i rispettivi mariti. Lucia e Vincenzo Bellomo sono andati via da Parigi nel 2020, dopo le polemiche sul ristorante ribattezzato “Corleone”, e per qualche tempo si sono stabiliti in Kazakistan. Ora sono nuovamente a Corleone. Maria Concetta e Tony Ciavarello si sono invece trasferiti dalla Puglia a Malta, dove è stato anche Salvuccio Riina, il terzogenito del capo dei capi che all’inizio di quest’anno ha deciso pure lui di fare rientro nel suo paese.
E sembra che voglia restarci, come ha rivelato Repubblicanei giorni scorsi, perché ha anche chiesto il trasferimento della residenza nella casa di famiglia, in quella che oggi si chiama via Cesare Terranova, in ricordo del giudice che per primo capì la potenza dei boss corleonesi e per questo fu ucciso assieme al suo collaboratore Lenin Mancuso, il 25 settembre 1979.
Ma cosa hanno fatto Bellomo e Ciavarello nei loro soggiorni all’estero? Ufficialmente, sembra che il primo abbia lavorato come operaio addetto alla manovra di pale meccaniche, il secondo gestiva fino al 2019 delle società nel settore dei ricambi d’auto, poi sequestrate e confiscate dai carabinieri del Ros. I generi di Riina sono stati al centro di alcune curiose dichiarazioni fatte da Lorenzo Cimarosa, il cugino acquisito di Matteo Messina Denaro, che nel gennaio 2014 fece delle dichiarazioni ai magistrati della procura di Palermo: «Nel dicembre scorso — mise a verbale — il titolare di una concessionaria di Corleone, Peppe Tufanio, mi disseche uno dei generi di Riina aveva cercato di mettersi in contatto con il latitante tramite il capomafia di Mazara del Vallo, Vito Gondola. E questi gli aveva risposto che Messina Denaro non poteva incontrarlo ». Chi era il genero di Riina che cercava il superlatitante? E perché? Una possibile risposta potrebbe essere nelle intercettazioni in carcere di Salvatore Riina, fatte dalla Dia di Palermo su disposizione dei magistrati che indagavano sulla trattativa Stato-mafia: «Se recupero pure un terzo di quello che ho, sono sempre ricco», diceva il capo dei capi di Cosa nostra morto nel 2017. E citava alcune proprietà a Castelvetrano. «Una persona responsabile ce l’ho — proseguiva il vecchio padrino — ed è Messina Denaro ». Ecco, dunque, forse uno dei due generi di Riina stava cercandodi recuperare delle vecchie proprietà di famiglia? Anni fa, i poliziotti del Servizio centrale operativo pedinarono Lucia Riina e suo marito sino in Svizzera. Per fare cosa?
Un pizzino ritrovato dalla polizia ha scoperto che nel 2006 addirittura Bernardo Provenzano si era speso con Salvatore Lo Piccolo per raccomandare Bellomo. E il boss palermitano rispondeva: « Per quanto riguarda Vincenzo Belluomo ora mi interesso subito a raccomandarlo dalle persone che Lei ha indicato, Sisa Ferdico ecc. ecc. Io già mi sto adoperando però Lei nel frattempo faccia sapere specificatamente quello che gli interessa a Belluomo da questi depositi Sisa». E ancora: « Torno nuovamente sull’argomento di Vincenzo Belluomo, Zio, per raccomandarlo nellepersone che Lei mi ha citato — li conosco tutti e quindi non ho problemi — Però Lei con la prossima gentilmente mi deve specificare su quale prodotto devo raccomandarlo ». All’epoca l’imprenditore Paolo Sgroi ammise che si era presentato da lui «una persona, la stessa che viene a prendere i soldi del pizzo, che mi comunicò la visita di un certo Bellomo, per vedere se lo potevo aiutare. Ed effettivamente venne, parlammo due minuti, poi fornì alla Sisa tre prodotti per la pulizia». Era proprio Vincenzo Bellomo, il genero di Riina, che all’epoca faceva il rappresentante per una società di proprietà dello zio materno.
Ciavarello e Bellomo sono stati sempre parecchio intraprendenti. Il primo è stato anche condannato per truffa: il giorno che finì ai domiciliari, la moglie si mobilitò su Facebook per difenderlo. «È stato vittima dei veri truffatori che lo hanno usato per i loro sporchi affari», scrisse. Dal padre ai figli, la linea di difesa della famiglia è sempre la stessa: «Sono i Riina le vere vittime». E, intanto, continuano probabilmente a custodire tanti segreti sui beni di famiglia. Per questo Ciavarello è stato anche sorvegliato speciale.
Nel 2009 il vulcanico genero e sua moglie Maria Concetta si erano invece inventati una società con sede a Londra, che promuoveva servizi di ogni genere, dalle lotterie all’acquisto di lauree straniere. Il giorno che la Guardia di finanza fece scattare i controlli, Ciavarello lanciò ancora una volta la difesa di famiglia sui social: «Dove sta il reato? — scrisse — Chi abbiamo truffato? Abbiamo aperto a Londra perché qui nessuno ci fa lavorare».
La Repubblica Palermo, 26/4/23
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