Colpiti i mandamenti mafiosi di Trabia – Caccamo e San Mauro Castelverde
Nel regno che fu di Nino Giuffrè, fra la spiaggia di Campofelice di Roccella e i campi di carciofi di Cerda, si muovono ancora i suoi fedelissimi, i suoi rampolli, che non si rassegnano ai continui arresti, ai sequestri, alle confische di beni.
Martedì 28 febbraio sono andate in carcere 5 persone e 8 ai domiciliari. I mandamenti mafiosi colpiti sono stati quelli di Trabia – Caccamo e San Mauro Castelverde. Quell’ampia fascia di territorio tra il mare e la catena montuosa delle Madonie, in passato rifugio di latitanti eccellenti e sterminata aria di sacco edilizio per riciclare denaro sporco.
INDIETRO NEL TEMPO
Ma ancora una volta, aldilà dei soliti traffici di stupefacenti, minacce ed estorsioni, emerge una quotidianità della vita mafiosa e dei suoi boss che ci riporta indietro nel tempo. Una realtà arcaica e un ambiente umano espressioni di mentalità patriarcali e modi padronali.
L’anziano 84enne Giuseppe Rizzo, oltre a pretendere da moglie e figlia un menù sempre diverso dalla “solita pasta e lenticchie”, proibisce alle donne di affacciarsi al balcone, riempie di botte e percosse le due familiari, costringe la moglie a rapporti sessuali non voluti. “Cafudda, cafudda sempre – dicono le due donne – Mi ha sminnato la faccia… Mi ha dato legnate”.
Anche il figlio di Giuseppe, Pino Rizzo, non è da meno nel rapporto con il genere femminile. Telecamere e cimici hanno registrato in aperta campagna un suo tentativo di violenza sessuale nei confronti di una quindicenne che ha resistito ed ha evitato l’abuso.
PINO RIZZO
Ed è proprio Pino Rizzo il personaggio di maggior rilievo in quest’indagine. Ex luogotenente di Giuffrè, uscito dal carcere dopo 17 anni, immediatamente cerca di riprendere le redini del mandamento che lo zio, Rosolino Rizzo, aveva affidato a Luigi Antonio Piraino. Di quest’ultimo Pino Rizzo non ha una buona opinione, perché, secondo lui, impone il pizzo anche ai piccoli commercianti e non si fa rispettare. Lo chiama persino “Paperino”.
Ma anche Pino Rizzo deve difendersi all’interno della sua cosca da una cattiva fama creatasi negli anni. Infatti, sua moglie, Rosalia Iuculano, è diventata una collaboratrice di giustizia, e con le due figlie ha preso le distanze dal marito ed è andata a vivere altrove. Una “macchia” per un mafioso e una inaffidabilità per tutta l’organizzazione inaccettabili. Tanto che il carismatico e autorevole zio Rosolino non apprezza molto il nipote.
LA DROGA
L’attività di spaccio era organizzata e gestita da Pino Rizzo, ma anche Pietro Cicero, Gaetano Piraino e Ignazio Piraino avevano un ruolo importante. E per avere l’entità dell’affare della droga in questa parte della provincia palermitana si può citare quanto diceva Ignazio Piraino in un’intercettazione “I tuoi tremila euro al mese li puoi mettere da parte… e di questi tempi sono soldi”.
Altra figura importante in questo commercio di stupefacenti è Giada Quattrocchi, compagna di Pino Rizzo. Oltre a piazzare la droga tra le amiche, avrebbe assunto un comportamento estremamente attento adottando rigorose misure di cautela.
NELLA TESTA DI UN MAFIOSO
Ma questa indagine ci fa capire meglio cosa c’è dentro la testa di un mafioso e quali sentimenti e pulsioni muovono i suoi comportamenti. Infatti è abbastanza importante riportare quanto è accaduto tra il padre, Pino Rizzo, e le sue figlie, dopo che la madre ha deciso di saltare il fosso e rivelare tutto quello che sapeva delle attività illecite.
Alla sollecitazione delle due ragazze che spingono il padre a collaborare con la giustizia, Pino Rizzo risponde “Non è possibile. Papà è nato per fare questo. Vi dovete rassegnare”. E alla proposta di cambiare vita, lasciare la Sicilia, rispondeva che non poteva, che aveva paura di essere ammazzato.
Insomma, un destino segnato e una fine inevitabile a cui è impossibile sfuggire.
Giovanni Burgio
https://gioburgio.wordpress.com/2023/03/08/aria-antica-nelle-madonie/
8 marzo 2023
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