giovedì, marzo 02, 2023

L’Antimafia nazionale al palo fra rinvii e tanti veti


Lino Buscemi

Sono passati quasi cinque lunghi mesi dall’insediamento del Parlamento e senatori e deputati, al di là di quanto deciso in questi giorni dalla Commissione affari costituzionali di palazzo Madama, non sembrano scalpitare dalla voglia di eleggere i componenti della Commissione bicamerale d’inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere. Anzi ad imporsi, dentro e fuori le aule parlamentari, sono, per ora, solo discutibili rinvii (non si trova, a quanto pare, la “quadra” fra i partiti di governo su chi dovrà presiederla), veti incrociati e sottovalutazioni che denotano una certa mancanza di sincronia con l’opinione pubblica e scarso impegno sul piano politico e intellettuale proprio mentre la lotta alla mafia, con la cattura del boss Matteo Messina Denaro, è diventata più incalzante e con indiscutibili positivi risultati.

La maggioranza, sull’importante adempimento, ha vacillato non poco. Mentre le opposizioni, divise, non vanno al di là delle protocollari sollecitazioni. Francamente non è un bell’inizio di legislatura (la XIX nella storia della Repubblica italiana) e neanche il modo migliore per celebrare adeguatamente l’ormai imminente sessantesimo

anniversario di due importanti avvenimenti: la strage mafiosa di Ciaculli a Palermo (30 giugno 1963, in cui persero la vita ben 7 uomini delle forze dell’ordine) e la costituzione formale (6 luglio ’63) di quella che verrà considerata la prima Commissione antimafia, presieduta dal senatore Donato Pafundi. Per la verità, la legge istitutiva della Commissione risale al 20 dicembre 1962 e in applicazione di essa vennero eletti i suoi componenti che si insediarono nel febbraio ’63, ma senza iniziare alcuna attività a causa del coevo scioglimento anticipato delle Camere.

Che ruolo ebbe la Regione siciliana, in quel periodo assai turbolento caratterizzato da una cruenta guerra di mafia e da una asfissiante presenza di mafiosi nell’amministrazione, negli enti locali e nel mondo della finanza e dell’economia? Nel 1962, presidente della Regione era il democristiano Giuseppe D’Angelo, il quale si intestò una grande iniziativa contro il fenomeno mafioso reclamando con forza la nomina, da parte del Parlamento della Repubblica, di una commissione nazionale d’inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia. Nel mese di marzo del 1962 si svolgerà all’ARS un acceso dibattito e l’onorevole D’Angelo in quella occasione ribadirà che «…l’indagine deve essere la più ampia possibile che non solo studi e valuti il fenomeno per quello che esso realmente rappresenta, ma accerti e denunzi tutte le possibili o reali collusioni e le possibili o reali presenze della mafia nelle pubbliche amministrazioni , nelle attività economiche , nelle strutture sociali e politiche e in tutte le più svariate forme di vita organizzata».

Un vero grido d’allarme che mirava a far diventare il problema della mafia una questione nazionale, non essendo pensabile che l’azione di contrasto al fenomeno mafioso possa essere un “affare” da delegare solo alla comunità siciliana. Altri tempi in cui la politica, in maniera preponderante, primeggiava dentro e fuori i palazzi del potere e l’Ars esercitava, senza tentennamenti, i suoi poteri. Il 30 marzo successivo, mentre divampava la guerra di mafia tra le cosche capeggiate dalle famiglie dei Greco e dei La Barbera, l’Assemblea regionale, con voto unanime, approverà una mozione con la quale il Parlamento veniva sollecitato a costituire una commissione d’inchiesta sulla mafia. La risposta positiva da Roma arriverà, come già detto, alla vigilia di Natale del 1962. Ma è dopo la strage di Ciaculli e sull’onda della montante indignazione popolare, che gli organi dello Stato si daranno una mossa e in pochi giorni si definirà la composizione della Commissione e si procederà ad eleggere presidente e consiglio di presidenza della medesima.

Il resto è storia e chiunque può formulare valutazioni e giudizi sull’efficacia o meno dell’azione delle varie commissioni antimafia succedutesi dal 1963 in poi. Lungi, però, dal fare parallelismi, che risulterebbero peraltro inappropriati dati il lungo tempo trascorso e le mutate condizioni sociali e politiche, è fuori luogo richiedere una qualche iniziativa dell’ARS e del governo regionale per sollecitare il Parlamento nazionale a mettere da parte “rivalità” politiche e contrasti di bottega per munire subito, con procedura d’urgenza, la Repubblica di un utile organismo d’inchiesta sulle mafie?

Dopo la spettacolare cattura di Messina Denaro la magistratura e le forze dell’ordine, come è giusto che sia, si sono attivate per continuare ad indagare a fondo e per individuare altre responsabilità, reati, protezioni, connivenze e quant’altro. Insomma tutto ciò che consente di formulare una verità giudiziaria. La politica, al di là dei proclami e delle belle parole di circostanza, in questo frangente ha il dovere di sollecitare l’attivazione di meccanismi di analisi, di studio e d’inchiesta sia per capire meglio come si “muovono” oggi le organizzazioni criminali e mafiose che per individuare idonee misure legislative e amministrative in grado di rendere le articolazioni dello Stato e delle realtà locali territoriali impenetrabili ad ogni pressione criminale, clientelare e alla corruzione che è diventata ormai e davvero la prima patologia degenerativa del nostro Paese. Le prime Commissioni parlamentari antimafia, ma anche altre successivamente, come è stato evidenziato, sono nate in seguito ad eclatanti fatti di sangue. La cattura di un boss del calibro di Matteo Messina Denaro è o non è un fatto eclatante? Sussiste sì o no il diritto del cittadino a sapere, non solo giudiziariamente, almeno come e perché un mafioso latitante di tal fatta, per tre decenni, abbia agito indisturbato dentro e fuori il suo territorio? La politica e le articolazioni amministrative dello Stato e della Regione cosa hanno fatto? Un po' di chiarezza renderebbe più solare qualsiasi anniversario, ivi compresi quelli che le autorità si apprestano a celebrare nell’anno di grazia 2023.

GdS, 1/3/2023

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