Il premier israeliano Netanyahu
ALBERTO STABILE
Bisognerebbe spiegare ai colleghi delle varie televisioni che il trasferimento dell’ambasciata d‘Italia in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, non è un mero fatto burocratico, o logistico, la semplice scelta di una città invece che un’altra come sede della nostra legazione diplomatica, ma un gesto politico grave che implica il riconoscimento di Gerusalemme come capitale ”unita e indivisibile” dello stato d’Israele. Cosa che la stragrande maggioranza della comunità internazionale, eccetto gli Stati Uniti, per un improvviso capovolgimento della tradizionale linea americana sul conflitto mediorientale imposto da Trump, e pochi altri paesi, si è finora guardata bene dal fare. E a ragion veduta. Perché questo riconoscimento, che costituisce il motivo principale della visita del premier israeliano, Netanyahu, in Italia, equivale a passare un colpo di spugna, senza trovare una soluzione, su uno dei temi più spinosi del conflitto tra israeliani e palestinesi, i quali non hanno mai cessato di rivendicare la parte orientale della città, Gerusalemme Est, come capitale del loro futuro stato.
E questo anche dopo, anzi, soprattutto dopo che, in seguito alla guerra del 1967, l’esercito israeliano ha conquistato e occupato militarmente Gerusalemme Est. Conquista cui è seguita l’annessione di fatto e la proclamazione unilaterale di Gerusalemme capitale. Le Nazioni Unite, tuttavia, non hanno mai riconosciuto l’annessione da parte israeliana e hanno continuato a considerare Gerusalemme Est territorio occupato militarmente, in attesa che le due parti trovassero una soluzione concordata attraverso il negoziato.Adesso che il Processo di Pace è stato gettato alle ortiche come un vecchio attrezzo arrugginito e inutile, è arrivato il momento dei pragmatici e degli opportunisti. La pazienza del negoziato e stata sostituita dall’irruenza devastante delle armi. Alla morale e alla giustizia è stata preferita la logica ferrea dei vantaggi geopolitici e dei profitti economici, elementi che stanno alla base degli Accordi di Abramo, il capolavoro diplomatico di Trump e Netanyahu, tra Israele e alcuni paesi arabi, nei quali non c’è più traccia della questione palestinese.
Tornato ad occupare la poltrona di premier per allontanare dalla sua testa la spada di Damocle dei procedimenti giudiziari che lo vedono imputato di corruzione e malversazione, Bibi, come viene familiarmente chiamato sui giornali, ha deciso di allearsi con i partiti dell’estrema destra razzista, omofoba e suprematista, nemici del dialogo coi palestinesi e fautori dell’annessione dei territori occupati. È evidente che un governo del genere è quanto di più lontano ci sia da un’ipotetica soluzione diplomatica del conflitto.
Non può stupire quindi che un Netanyahu accusato in patria di voler stravolgere la democrazia e di tentare di mettere in atto un golpe attraverso la (contro)riforma della Giustizia, venga in Italia a proporre sostanzialmente un baratto alla Meloni: gas in cambio del riconoscimento di Gerusalemme capitale, tramite il trasferimento dell’ambasciata da Tel Aviv alla Città Santa. In parole povere: un altro fatto compiuto. Con buona pace del dialogo e della soluzione dei due stati cui soltanto Biden fa ancora finta di credere. Se Netanyahu ha scelto di venire a Roma in visita ufficiale nonostante il paese in rivolta contro di lui, forse pensa che in Meloni può trovare un interlocutore affine in molte cose, non ultima, come ha scritto un giornale israeliano, l’isolamento che li circonda entrambi.
Alberto Stabile
10/3/2023
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