DI CHIARA SARACENO
Il sacrificio dei diritti dei bambini in nome della difesa della famiglia standard ha una lunga storia che in Italia è durata e dura di più che nella maggior parte dei Paesi democratici occidentali.
Fino al 1975 venivano addirittura dichiarati illegittimi e, in nome della difesa della famiglia “legittima”, non potevano essere riconosciuti dal genitore che li avesse procreati in una relazione adulterina (e la madre, se sposata con un’altra persona, non poteva dichiarare che il figlio non era del marito, mentre questo poteva disconoscerlo). Paradossalmente, non era la famiglia “naturale” a essere difesa, bensì quella legittima. Un paradosso riconfermato anche quando venne data la possibilità di riconoscere i figli nati da relazione adulterina e la terribile dizione “illegittimo” venne sostituita dal più soft “naturale”, uno statuto che continuava a rimanere più debole, dal punto di vista dei diritti e dell’accesso legale a relazioni di parentela, di quello “legittimo”.
Si è dovuto aspettare fino al 2012 perché, superando l’articolo 30 della Costituzione, venisse eliminata ogni distinzione tra figli nati dentro e fuori dal matrimonio, dal punto di vista dell’accesso non solo al riconoscimento da parte di entrambi i genitori, ma anche all’intera parentela, e della assenza di gerarchie tra figli legittimi e naturali rispetto all’eredità.
Uno dei motivi per cui in Italia si tardò ad arrivare a questa equiparazione riguardava la resistenza opposta da alcuni settori politici e culturali alla estensione anche ai figli di rapporti incestuosi del diritto a essere riconosciuti da entrambi i genitori. Un’estensione che alla fine passò, pur subordinata al parere di un giudice minorile che ne valuti l’opportunità dal punto di vista del benessere del bambino.
Perché è il benessere del bambino, e il suo diritto alle relazioni familiari, il principio che ha guidato l’equiparazione di tutti i nati rispetto al riconoscimento del radicamento in un rapporto di filiazione. In ballo non è più la difesa di un modello di famiglia a spese dei diritti dei figli, dei bambini, ma la difesa dei diritti e del benessere di questi ultimi. Così come si può allontanare un minore dai genitori e togliere la potestà genitoriale, se sono considerati nocivi — in comportamenti accertati caso per caso — non si può negare a un bambino il diritto alle relazioni familiari in cui nasce e cresce solo perché non corrispondono al modello standard. Ma il sacrifico dei figli in nome di un principio non è finito. Abbandonata la difesa a oltranza della famiglia “legittima”, ora si è passati a quella “naturale”, in nome della quale si impedisce ai figli di coppie dello stesso sesso di essere riconosciuti da entrambi i genitori che li hanno voluti. Di conseguenza questi bambini si trovano nella condizione dei figli cosiddetti illegittimi fino al 1975: impossibilitati a essere riconosciuti da un genitore, perciò anche con una parentela legalmente dimezzata. Si dice che si vuole impedire la legalizzazione della gestazione per altri. Ma allora perché coinvolgere anche i figli di coppie di donne?Inoltre è un impedimento che di fatto non colpisce le coppie di sesso diverso che ricorrono alla gestazione per altri (la maggioranza di chi vi ricorre) ma possono bypassare facilmente i divieti e le difficoltà che ne derivano. Soprattutto, come il riconoscimento del diritto dei figli nati da un rapporto incestuoso ad avere legalmente entrambi i genitori non ha comportato una automatica legalizzazione dell’incesto, e neppure la sua approvazione sul piano etico, lo stesso può avvenire per la gestazione per altri. Non intendo equiparare i due fenomeni, solo sottolineare l’importante cambiamento di prospettiva introdotto nel caso di filiazione incestuosa.
Si può e deve discutere dei problemi etici e di salute della donna connessi alla gestazione per altri (ma anche alla ovodonazione, cui ricorrono molte coppie “regolari” senza che venga sollevato alcun dubbio etico e sanitario), alle possibili forme di sfruttamento cui può dare luogo e a come possono essere contrastate, così come si deve affrontare la questione del diritto dei bambini nati in questi modi di conoscere le proprie origini. Ma sono questioni diverse da quelle del diritto dei bambini a non essere sacrificati sull’altare di principi e di, legittime, divergenze valoriali.
La Repubblica, 20/3/2023
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