Il piccolo Giuseppe Di Matteo col suo cavallo |
L’appello di due preti e, a Casal di Principe, una risposta forte
La cattura di Matteo Messina Denaro, latitante per 30 anni, ci ha fatto tirare un respiro di sollievo e porre tantissime domande. In queste settimane si è parlato tanto di lui. La curiosità, però, rischia di prendere, inutilmente, il sopravvento. Qui, invece, non ci si soffermerà sulla vita privata del capo mafioso. E si tenterà di spostare l’attenzione su specialmente una, una sola, delle sue tante vittime innocenti: il piccolo Giuseppe Di Matteo. La storia di questo ragazzino, infatti, sta a dimostrare la disumanità in cui precipitarono Matteo Messina Denaro e i suoi complici, Giovanni Brusca, i fratelli Graviano, Leoluca Bagarella. Oltre, ovviamente, a Enzo Brusca, Vincenzo Chiodo e Giuseppe Monticciolo che eseguivano i loro ordini, senza battere ciglio.
Giuseppe Di Matteo fu rapito a Palermo il 23 novembre del 1993, per indurre suo padre, Santino, già mafioso e collaboratore di giustizia, a fare marcia indietro. Santino tenne duro. Il prezzo che pagò fu atroce. Oggi sappiamo come andarono le cose. Gli stessi aguzzini hanno ampiamente confessato. Le dichiarazioni rese fanno venire la pelle d’oca. Ma non è di loro che vogliamo parlare oggi. qui vorremmo dare voce al piccolo sequestrato. Un numero innanzitutto: settecentosettanove. Tanti sono i giorni e le notti che durò l’orribile e inenarrabile prigionia. Per più di due anni, Giuseppe è stato solo. Terribilmente solo. Disumanamente solo. Una sorte la sua, più unica che rara. Nei vari campi di sterminio che la storia ci rivela, i bambini, affamati, terrorizzati, infreddoliti, violentati, potevano almeno stare insieme. Parlavano, si facevano compagnia. Litigavano, tentavano persino di giocare. A Giuseppe nemmeno questa misera consolazione fu concessa.
Proviamo a dargli la parola: « Mi chiamo Giuseppe. Giuseppe Di Matteo. Sono un bambino. Non ho ancora 13 anni. Sono felice. Quando sto in groppa al mio cavallo sono felice. “ Vieni ti porto da tuo padre” mi dice, sorridendo, il “poliziotto”. Il mio cuore scoppia dalla gioia. Non era vero. Era una bugia. Da allora – quando tempo è passato? – non ho più visto papà, e neppure la mamma, il nonno, la mia amica. Non ho più visto il sole, il mare, gli alberi, i fiori, il mio cane, il mio cavallo. Non sono più andato a scuola. Non ho capito niente. Sono sempre stato solo. A Natale, a Pasqua, a Carnevale, a Ferragosto. Un anno? Due? Tre? Non lo so. Non so niente io. La morte arrivò come una grazia. Quante volte l’ho invocata. Il resto è poca cosa. L’acido? Nemmeno me ne accorsi. Adesso ho voglia di parlare. Se sei disposto ad ascoltare. Voglio raccontarti le mie paure, le mie angosce, le mie fobie. Le mie speranze, la mia preghiera, le mie visioni. Il desiderio di essere accarezzato, baciato, coccolato. Di dare un calcio a un pallone, di correre, nuotare. Di strigliare il mio cavallo. Mi chiamo Giuseppe. Giuseppe Di Matteo. Nato il 19 gennaio del 1981. Rapito il 23 novembre del 1993. Strangolato l’11 gennaio del 1996. A San Giuseppe Jato. Almeno il mio ricordo vorrei che rimanesse vivo. Non per me. Per voi stessi. E per i vostri figli. Perché nessun bambino al mondo abbia a patire l’inferno che ho sofferto io».
Don Fortunato Di Noto e chi scrive hanno promosso un appello a tutti i sindaci d’Italia, iniziando ovviamente dalla Sicilia: si intitoli una strada, una piazza, una scuola, un luogo pubblico a Giuseppe Di Matteo. La città di Casal di Principe dov’è nato, ha servito Cristo nel suo popolo e ha subìto il martirio don Peppe Diana, tristemente nota ai più per aver dato il nome al “Clan dei casalesi” - è stata tra le prime a rispondere. E così un Parco Urbano - realizzato su un terreno confiscato alla camorra - porterà il nome del piccolo martire della disumana ferocia mafiosa. Una notizia bellissima, cui, ne sono certo, faranno seguito tante altre. Agli amministratori di Casal di Principe un grazie di cuore. Al piccolo Giuseppe Di Matteo, un bacio. Da parte di tutti gli italiani amanti della giustizia, della pace, della vita.
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